Pantani day dalla prima corsa in ‘Graziella’ alla leggenda. Giro d’Italia e biglie-ricordo

La tappa di domani parte dalla sua Cesenatico. E nelle sale cinematografiche un film ripercorre i successi del Pirata e il giallo della morte

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Due grandi biglie di vetro, come quelle con cui lo stesso Marco Pantani da piccolo giocava in spiaggia pochi metri più in là, saluteranno domani da piazza Costa a Cesenatico la partenza di una tappa del Giro d’Italia tutta dedicata al Pirata. All’interno l’effigie del campione in due momenti di quel magico 1998: occhi chiusi e braccia aperte, vittorioso al Giro, e pochi mesi dopo, maglia gialla sulla schiena, mentre sfreccia per prendersi anche il Tour, entrando nella storia. Quest’anno il campione, fosse vivo, avrebbe 50 anni e la competizione che lo scacciò per l’ematocrito alto a un passo dal traguardo nel ’99 gli tributa il ricordo più bello: una giornata di gara che parte e arriva nella sua Cesenatico, con il traguardo in piazza Marconi, di fronte alla sua statua. In mezzo i saliscendi della Nove Colli, corsa amatoriale che una volta lui stesso percorse in incognito per riabilitarsi dopo uno dei tanti incidenti.

Sorride mamma Tonina, dopo l’inaugurazione del monumento: "Dopo tutti questi anni faccio la pace con il Giro". E suo figlio, cosa avrebbe fatto, il commentatore o il padrino? "Io me lo immagino tra la folla ai lati, con due o tre bimbi, perché lui di figli ne avrebbe voluti eccome". Li avrebbe portati in quella piazza che, ricorda Matteo Gozzoli, sindaco di Cesenatico, "decine di volte si è vestita a festa per celebrare le imprese del nostro campione e da oggi resterà per sempre sua". Ma com’era Pantani giù dalla sella? "Buono e silenzioso – dice Tonina –: amava mangiare la piadina e pescare col nonno". Papà Paolo invece, Marco a 50 anni non se lo immagina: per lui – al fianco del Pirata "dagli esordi a undici anni fino alle maledette provette di Madonna di Campiglio", sottolinea – ciò che resta del figlio è quello che ha davanti ogni giorno, da sedici anni. Una lapide a forma di podio, in cui la statua di Pantani occupa il gradino più alto. Di fronte, la tomba di nonno Sotero, che gli regalò la prima bicicletta.

Paolo Pantani, idraulico in pensione, al mattino è matematico trovarlo fermo in piedi lì, nella cappella di famiglia, a metà tra suo padre e suo figlio, anello mediano rimasto sguarnito. Non è triste, solo pratico. Arriva, pulisce, mette ordine tra i regali dei fan, controlla il libro dei ricordi, che in estate come in inverno viaggia sulle 7-8 frasi al giorno: "Quest’anno ne ho già cambiati due", avverte. E quando arriva qualcuno, magari in bici, allarga un sorriso e fa gli onori di casa: "Dai entra, Marco è qui. Vi lascio da soli. La bici resta fuori, ma te la guardo io".

Non ha visto il film ‘Il caso Pantani - L’omicidio di un campione’, in questi giorni in sala, che ricostruisce gli ultimi anni convulsi del campione, tra droga, scommesse e complotti. "È andata mia moglie – alza le spalle –. Noi quelle cose le sappiamo già".

Per lui, invece, Marco è soprattutto il bambino che a undici anni faceva scuola calcio, e un giorno nel cortile della casa di viale dei Mille fu schernito dai sui coetanei in partenza per una gara amatoriale: te tira calci alla palla, che noi scaliamo le montagne! " Allora Marco – racconta il babbo – senza pensarci lascia la palla nell’androne, afferra la Graziella della mamma, li insegue, chilometro dopo chilometro, e sul traguardo in salita di Savignano li supera e li stacca di venti metri. Lui in pantaloni e Graziella contro di loro, equipaggiati e in bici da corsa".

L’allenatore della cicloamatori Fausto Coppi, incredulo, prende questo bimbo silenzioso dalle scapole e gli urla: corri da tuo babbo e digli che ti paghiamo tutto noi, tu devi solo procurarti delle scarpe! Il resto è leggenda, e quella non morirà mai.