Paladina del clima Il passo indietro di Greta "Sono pronta a lasciare il megafono ad altri"

Nel 2018, a Stoccolma, inaugurò gli scioperi scolastici per il pianeta. Dai “Fridays for future“ al “bla bla bla“ dei governi: non sarà alla Cop 27

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di Viviana

Ponchia

Era il 20 agosto 2018, a Stoccolma si girava già con la felpa. Però che estate. Caldo, siccità, incendi. Non bastava vivere in Svezia per dimenticare che il resto del mondo si stava sciogliendo. Quel giorno la ragazzina di 15 anni con la faccia di Pippicalzelunghe decise che la scuola poteva aspettare, ma il pianeta no. Prese un cartello e ci scrisse sopra Skolstrejk för klimatet, sciopero scolastico per il pianeta. Poi andò davanti al Riksdag, la sede del parlamento, e si piantò lì. Rimase assente fino al 9 settembre. Spiegando con calma che "nessuno è troppo piccolo per fare la differenza". E che si sarebbe tolta dai piedi solo se fossero state adottate serie misure contro il cambiamento climatico. Si chiamava Greta Thunberg, due anni prima le era stata diagnosticata la sindrome di Asperger, malattia nello spettro dell’autismo che compromette le relazioni sociali. Ne soffrivano Mozart e Steve Jobs, non lo ha mai rinfacciato quando la accusavano di avere spunti ossessivi in mezzo a folle oceaniche.

È sua la firma sui Fridays For Future e su una mobilitazione planetaria senza precedenti. Ha sopportato la fatica, le accuse di essere petulante e mentalmente instabile. Trump l’ha sentita ringhiare e non si è più ripreso. Tale Henrik Urdal, del Peace Research Insititute di Oslo, è caduto sull’ovvio: troppo giovane e troppo poco qualificata. Altri complimenti se li è beccata in giro per il mondo: antipatica, con quel broncio e lo sguardo a cacciavite. Noiosa per come ripete la stessa storia. E che si comprasse un impermeabile della sua taglia, con tutti i soldi che avrà fatto alzando il prestigio della causa green. La mamma cantante d’opera e il papà attore sono rimasti un passo indietro come la parentela di Svante Arrhenisu, studioso dell’effetto serra e premio Nobel nel 1903. Anche lei ha sfiorato il Nobel: per la Pace. Due volte, ma a qualcuno sembrava troppo scontato.

Cosa c’entra l’ambiente con la pace? C’entra con tutto: fisica, chimica, medicina, letteratura. Ma niente. In quattro anni, mentre la temperatura continuava a salire anche dalle sue parti, la cerata gialla ha fatto il giro dei continenti. Ha scritto due libri per dire che la casa brucia. Nel 2019 è finita sulla copertina del Time come "Persona dell’anno". E adesso forse dice basta. Passa il testimone. Perché quello che c’era da dire lo ha detto. E ad avere capito pare siano solo i ragazzi del venerdì, che dovranno fare a meno di lei. L’intervista all’agenzia di stampa svedese TT suona come un congedo definitivo: "Dovremmo ascoltare i resoconti e le esperienze delle persone più colpite dalla crisi climatica. È ora di consegnare il megafono a coloro che hanno davvero storie da raccontare". Terminerà le superiori, poi chissà: "Vedremo. Se dovessi scegliere oggi, sceglierei di continuare a studiare. Preferibilmente qualcosa che abbia a che fare con le questioni sociali". Uno scarto improvviso, uno dei suoi. "Alcune delle cose che i leader mondiali e i capi di stato dicono quando il microfono è spento sono difficili da credere quando le racconti. La mancanza di conoscenza delle persone più potenti del pianeta è scioccante". Invita ad ascoltare la scienza. Ad aprirsi a nuove prospettive. Ha annunciato che non parteciperà alla Cop27 in Egitto perché questi incontri internazionali sono diventati "greenwashing", glassa decorativa. Aveva già liquidato come "bla bla bla" la Cop26 di Glasgow. Si è pentita: "Se avessi saputo su cosa eravamo d’accordo quando abbiamo firmato l’accordo di Parigi, non l’avrei mai firmato".