Venerdì 19 Aprile 2024

I ricordi di padre Lombardi. "Io, voce di due Papi per dieci anni"

Intervista al gesuita che è stato direttore della Sala stampa vaticana dal 2006 al 2013 sotto il pontificato di Benedetto XVI, e dal 2013 al 2016 con Francesco

Padre Federico Lombardi con Papa Francesco

Padre Federico Lombardi con Papa Francesco

Città del Vaticano, 6 gennaio 2019 - Per un decennio è stato il ‘microfono’ del Papa. O meglio, di due. Direttore della Sala stampa vaticana dal 2006 al 2013 sotto il pontificato di Benedetto XVI e dal 2013 al 2016 con Francesco al timone della barca di Pietro, il 76enne padre Federico Lombardi ha svolto il suo incarico con garbo, equilibrio e senza protagonismi di sorta, nonostante l’eredità di un cognome importante nel panorama ecclesiale. Originario di Saluzzo, nel Cuneese, oltre a un nonno senatore, ha avuto come zii il giurista Gabrio Lombardi, leader indiscusso negli anni ’70 del Comitato per il referendum contro la legge sul divorzio, e Riccardo Lombardi, instancabile predicatore della Compagnia di Gesù.

Ma parliamo di lei, padre. Come è stato lavorare fianco a fianco a due Pontefici? «Ho il ricordo di un bel decennio di servizio, vissuto in un’ottica di mediazione. Da una parte, ho cercato di aiutare i colleghi giornalisti a comprendere gli atti e le vicende della Santa Sede, dall’altra, non ho mancato di sottoporre alle autorità vaticane osservazioni e nodi irrisolti sollevati dall’opinione pubblica».

Con un Papa comunicativo come Bergoglio, è facile immaginare che lei abbia fatto gli straordinari. «All’inizio in Sala stampa abbiamo dovuto capire e adattarci al nuovo stile. L’immediatezza e la capacità di entrare subito in sintonia con le persone, due caratteristiche chiave di Francesco, hanno sorpreso in positivo anche il sottoscritto, non solo voi giornalisti».

Straordinari a parte, deve essere stata più complessa la stagione con Benedetto XVI che ha dovuto fare i conti con una larga parte della stampa ostile al suo pontificato, in lotta col relativismo e dal tratto teologico piuttosto che pastorale? «Questo è vero, il papato ratzingeriano lo si è inquadrato fin da subito sotto premesse sbagliate. Si pensava che Benedetto XVI fosse un censore, poiché era stato prefetto dell’ex Sant’Uffizio. Certo, ha sempre considerato i tempi attuali come la stagione dell’oblio di Dio, ha sottolineato tra l’altro i rischi del soggettivismo, tuttavia non ha mai evitato il dialogo, senza timidezze, con la cultura moderna».

Un Papa gentile e capace di ascoltare? «In lui ho sempre riscontrato un desiderio autentico di capire le ragioni dell’altro, anche quando l’interlocutore non ha titoli particolari».

Le ha mai manifestato una qualche sofferenza per le critiche che andava ricevendo? «Parliamo di una persona coraggiosa nelle sue idee. Ciò non significa che non abbia vissuto dei momenti di profonda discussione interiore o che non abbia sofferto per degli appunti ricevuti, specie se provenienti dalla Germania. In particolare, ricordo nel 2009 il momento della crisi successiva alla revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani, tra i quali il negazionista Richard Williamson».

In quell’occasione Ratzinger fu accusato di ledere la sensibilità degli ebrei. «Sì e si indignò moltissimo, rivendicando come in tutta la sua vita avesse dato prova cristallina del suo impegno a favore del dialogo e della comprensione reciproca col popolo ebraico. Lui era all’oscuro delle tesi di Williamson».

Questo caso e l’affaire Vatilikeas hanno inciso sulla sua decisione di dimettersi? «Sì e no. Preoccupazioni simili, unite alle fatiche del viaggiare in giro per il mondo e dello scrivere documenti hanno contribuito al venir meno delle sue forze, vero e unico motivo del passo indietro. Nego, invece, che abbia rinunciato sulla scia degli scandali».

Lei era stato preavvertito delle dimissioni? «L’avevo saputo poco tempo prima in maniera molto riservata. E non ne sono rimasto troppo sorpreso».

Dice davvero? «Nel 2010, nel libro Luce del mondo, Benedetto XVI aveva parlato della possibilità e, se il caso, addirittura del dovere da parte di un Pontefice di dimettersi qualora sentisse di non avere più le energie necessarie per svolgere un ministero così impegnativo».

Come presidente della Fondazione Ratzinger avrà certamente modo di incontrarlo. Quando l’ha visto per l’ultima volta e come l’ha trovato? «Ci siamo incontrati un mese fa. Conserva una memoria sorprendente per un uomo di 91 anni, poi è chiaro che la vecchiaia progredisce e le forze fisiche diminuiscono. La voce è meno tonante e, per evitare cadute negli spostamenti, utilizza una carrozzina, ma quel che è importante è la sua presenza mentale e spirituale che c’è tutta».

Benedetto XVI passerà alla storia per la sua rinuncia? «Data l’eccezionalità del gesto, è quasi inevitabile che questo accada. Ciò detto, ritengo che l’eredità di Benedetto XVI sia molto più ampia. Penso alla sua preoccupazione per una società occidentale che moltiplica i diritti umani fino a farli entrare in contraddizione, come nel caso di quello alla vita e di un presunto diritto all’aborto. Resta da riscoprire anche la sua opera teologica su Gesù».