"Ottimo lavoro, Maestà" La sua monarchia un mito moderno

In 70 anni ha unito la tradizione british alla globalizzazione. Ed è anche diventata un’icona pop

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di Andrea

Fontana

Pareva immortale. Come certi miti della Vecchia Inghilterra che amiamo sentirci narrare: le cravatte dei college esclusivi, le corse ad Ascot, le case bianche di Kensington e i trascurati cimiteri di campagna, Downton Abbey, Harry Potter e James Bond. Vestigia che alimentano inesauribili serie televisive anche grazie a lei: Elisabetta II le riassumeva tutte in una vita dedicata a mantenere credibile un ruolo impossibile in qualsiasi altra corte europea, dove scorrazzano solo i rotocalchi.

Sotto il suo regno infinito, la Gran Bretagna ha realizzato la sintesi fra tradizioni tanto british da essere globali – dai cottage di miss Marple alla Battaglia d’Inghilterra – e la realtà di una nazione tuttora crocevia della finanza internazionale, dove le università più celebri del mondo rappresentano la frontiera scientifica, e l’asse militare e nucleare con gli Stati Uniti convive con la musica più giovane e meticcia dell’Europa. Dove le aule neogotiche della scuola di stregoneria di Hogwarts si rimpiattano sotto i grattacieli di Norman Foster e Renzo Piano, alfieri della continua metamorfosi di Londra. In equilibrio tra illusione e concretezza.

Sua Maestà Elisabetta II, nata il 21 aprile 1926 come Elizabeth Alexandra Mary, è stata per settant’anni sovrana del Regno Unito, del Canada, dell’Australia, della Nuova Zelanda e di altri undici Reami dai Caraibi al Pacifico meridionale. Era riconosciuta a capo del Commonwealth delle Nazioni da 54 Paesi, tra cui giganti come l’India, il Sud Africa, la Nigeria. E sì, noi tutti la speravamo immortale. La sorte stessa pareva averla destinata: la trisnonna Vittoria sul trono per 66 anni, la madre Elizabeth Bowes-Lyon morta a 102, perfino il marito Filippo d’Edinburgo giunto a un passo dal secolo. Elisabetta era l’ultimo capo di Stato in carica ad avere servito in uniforme nella seconda guerra mondiale, ed era apparsa a 19 anni a fianco del padre Giorgio VI e di Winston Churchill al balcone di Buckingham Palace, per festeggiare la vittoria su Hitler, A 96 anni, quando a quel balcone si è affacciata per il Giubileo di Platino, era ormai un fragile scrigno di fenomenali ricordi, vissuti nella convinzione che tutto facesse parte di un interminabile, scrupoloso lavoro. "È assolutamente priva dell’alterigia e delle pretese che ci si aspetta da un monarca", si stupì un giorno il sovietico Nikita Kruscev. Ma forse era un adattamento alla routine. Che si è spezzata, questo sì, con la morte di Filippo, suo sposo per 73 anni: il lutto l’aveva piegata come non si aspettava chi guardava al principe come a una figura di rappresentanza, una spalla. Guarda un po’, invece era il suo appoggio. Il compagno di viaggio nell’affollata solitudine di una vita dedicata al dovere.

Era la sola a non aprire bocca durante cerimonie dove migliaia di persone intonavano l’inno nazionale che parlava di lei: Dio salvi la Regina. Mai le sue famose borsette hanno accolto un passaporto, pur avendo viaggiato fino a isolette stile Robinson Crusoe dove i francobolli portano la sua effige. Primo monarca dell’epoca del turismo di massa, era il motore di un giro di affari di miliardi di sterline, dalle bamboline ai piatti. Un’icona pop, come intuì Andy Warhol ‘serializzandola’ alla stregua di Marilyn Monroe e della zuppa Campbell’s. Dissacrarla era renderle implicito riconoscimento, un’altra forma dell’omaggio. Lei stessa accettò di farsi paracadutare da un aereo, tramite controfigura, insieme a 007-Daniel Craig all’apertura delle Olimpiadi di Londra. E pochi mesi fa lo strepitoso skecht con l’orsetto Paddington ne ha rivelato, alla soglia del secolo, quell’humour che fiorisce così bene solo in chi lo tiene nascosto.

L’impassibilità e il silenzio le hanno fatto attraversare le crisi peggiori della monarchia – l’incubo lady Diana – che negli ultimi anni sono andate moltiplicandosi, dai festini del figlio Andrea alla soap opera del nipote Harry. Ma ‘The Queen’ ha mantenuto per contrasto un grado di popolarità reso evidente dall’ultimo Giubileo, incarnando l’unità di un regno che alla sua morte, ora, rischia l’implosione. Il referendum sulla Brexit fu uno dei pochissimi momenti in cui, con una mezza frase, fece intuire che lei avrebbe voluto restare nella Ue. Per il resto, non aveva opinioni e sorrideva a tutti, in migliaia di inaugurazioni e cerimonie. Il suo mandato "le chiedeva di manifestare interesse, non di provarlo", ha osservato lo scrittore Alan Bennett.

Se ne è andata, fragile e claudicante, dopo avere visto un’altra guerra in Europa, sempre prestando se stessa al Paese: i colori giallo e blu della bandiera ucraina, sui cappellini e nei mazzi di fiori, hanno punteggiato i suoi ultimi appuntamenti ufficiali, a sostegno di Downing Street, e il bastone al quale senza imbarazzi ormai si appoggiava – fino all’estremo compito, due giorni fa, di nominare primo ministro Liz Truss – è già un nuovo simbolo della sua monarchia. Riferendosi ai suoi 70 anni di trono, il figlio Carlo ha osservato, con britannica sobrietà: "A remarkable achievement", un risultato notevole. Sì. Un ottimo lavoro, Maestà.