Ostaggi a Kabul Biden rischia la fine di Carter

Cesare

De Carlo

Non c’è bisogno di conoscere Carlyle e la tesi sui leaders che cambiarono la storia per avere la misura del disastro afghano. Churchill e Roosevelt la cambiarono nel bene. Stalin e Hitler nel male. Poi ci sono coloro che, pur non essendo dei mostri ma solo degli sprovveduti, ricadono nella seconda categoria. Esempio: Jimmy Carter. Nel 1979 si fece sorprendere dall’invasione sovietica dell’Afghanistan e dalla cacciata dello Scià di Persia. Ma forse sarebbe sopravvissuto alla sfida elettorale di Ronald Reagan senza il sequestro degli ostaggi americani. 52 diplomatici. Per il loro rilascio Reagan fece scendere a Teheran un inviato. Che farà Biden? Formalmente i talebani non hanno ancora imprigionato nessuno. Ma di fatto gli americani sono già ostaggi. E con loro l’intero governo Biden. Sono 15 mila compresi gli afghani con visto o carta verde. Pochi riescono a superare i posti di blocco attorno all’aeroporto. Quanto costerà la loro liberazione? Quante e quali altre umiliazioni dal terrorismo islamico dovrà subire il tremebondo presidente? Come sarà interpretata dalla Cina una vicenda che fa impallidire il Vietnam di Nixon, l’Iran di Carter, la Libia e l’Iraq di Obama? E se, di fronte a tanta inettitudine il regime comunista attaccasse Taiwan, Biden incasserà ancora? O reagirà a rischio di una guerra nucleare? Una cosa sola è sicura: la caduta di prestigio non si arresterà con l’eventuale sua rimozione (art. 25 della Costituzione). Gli Stati Uniti non sono più la superpotenza che, grazie a Reagan, vinse la guerra fredda senza sparare un colpo. Sono in declino dall’11 settembre 2001. Ora, dopo il 15 agosto 2021, hanno raggiunto la crisi terminale. È finito il secolo americano. Quello cominciato all’indomani della prima guerra mondiale e consacrato dalla vittoria nella seconda. L’Europa si ritrova scoperta, imbelle, snaturata. Se non vogliono più morire per Kabul, gli americani verranno a morire per Vilnius o per Riga? ([email protected])