Orfini e il futuro dem "Clima nuovo con Schlein ma non basta ancora La costituente Pd inizi ora"

Il leader dei Giovani turchi: il flop del voto insegna che non basta sommare le sigle "Servono un progetto che sia riconoscibile e una vera alternativa alle destre. Il governo è stato bravo a trasferire sui territori il consenso acquisito".

di Cosimo Rossi

"Dobbiamo tornare a essere un partito che trasmette un’idea di cambiamento, e anche di redistribuzione della ricchezza e del potere". Per Matteo Orfini, leader dei Giovani turchi, "questa è la ragione sociale della sinistra" su cui il Pd è chiamato a impegnarsi per recuperare il profilo di "alternativa alle destre" a cominciare dalle prossime Europee. Dopo il brutto risultato delle comunali la segreteria Schlein è già nel mirino delle critiche. Graziano Delrio contesta alla segretaria di accentrare ogni decisione.

Secondo lei c’è già un problema legato alla leadership?

"Il lavoro di questa segreteria è appena iniziato. Sarà un percorso lungo e ci sarà bisogno di tutti. Sono convinto che la prima ad averlo chiaro sia proprio Schlein. Diamole il tempo necessario per impostare questa sfida alla destra che è tutt’altro che contingente. Io ho votato Bonaccini. Ma penso che la vittoria di Schlein, con la sua storia e il suo profilo, abbia creato quel clima diverso e nuovo che certo non basta, ma ci mette nelle condizioni di lavorare al rinnovamento e la ridefinizione del partito. La costituente del Pd inizi adesso".

La sconfitta alle comunali, intanto, è andata oltre le peggiori aspettative...

"Innegabile. Il centrodestra ha dato prova di una capacità alla quale non eravamo abituati: ovvero quella di trasferire il consenso politico sul terreno locale. E in alcuni casi, come in Toscana, anche quella di un radicamento che ci deve allarmare".

Nessuno dei modelli di alleanza sperimentati nei comuni si è dimostrato vincente. Questo come va inteso?

"Questo è il punto. È chiaro che le alleanze sono imprescindibili, specie in sistema maggioritario. Il voto comunale però ci dice che il successo non è determinato dalla sommatoria delle forze, ma dalla riconoscibilità del progetto e l’alleanza che ne deriva. Ci serve costruire un progetto culturale e politico – aggettivi inseparabili – alternativo a quello delle destre, con l’obiettivo di incrinare il blocco di consenso che stanno erigendo".

Qual è il progetto meloniano?

"Mi pare che la destra abbia chiaro un disegno che in altri tempi avremmo chiamato egemonico: costruire una narrazione, non solo del passato ma anche del presente, funzionale a un progetto politico sovranista reazionario. D’altro canto non va trascurato che il governo Meloni sia il primo, dopo oltre un decennio, a poggiare su una maggioranza uscita dalle urne. Perciò occorre alzare il tasso di politica senza pensare solo alla scorciatoia delle alleanze. E dobbiamo farlo a partire dal Pd".

Con quale idee guida e come?

"Dobbiamo avere chiaro che la tutela dell’interesse del Paese si fa anche dall’opposizione. Per la prima volta da anni col Pnrr abbiamo risorse da spendere, ma l’azione farraginosa del governo non ne è in grado. La battaglia sul Pnrr significa anche costruire un’interlocuzione con lavoratori, imprese, cittadini. Ma prima ci serve un’idea di Paese. Le proposte di elezione diretta, accanto all’autonomia differenziata, non rappresentano solo lo sfascio dell’impianto costituzionale, ma un modello che creerebbe ulteriori divisioni interne a un Paese più diseguale, a danno soprattutto dei ceti deboli. Occorre recuperare il consenso delle classi deboli, che i primi atti del governo penalizzano espressamente".

E questo come?

"Dobbiamo riprendere a fare opposizione parlamentare dura, alzando il livello. E dando insieme un profilo e un radicamento popolari alle nostre proposte alternative. Ad esempio utilizzando le leggi di iniziativa popolare per far vivere e organizzare un consenso che nella società è maggioritario su argomenti come salario minimo, diritti di cittadinanza, consumo del suolo".