Ora l’incognita è Zelensky: che cosa farà?

Cesare

De Carlo

Non basta parlare di pace. Bisogna crederci. E non basta crederci, bisogna prepararla. Emmanuel Macron fa sua la massima di Eleanor Roosevelt. Sembra crederci e sembra essersi trascinato dietro il confuso Joe Biden. Per cui ieri alla Casa Bianca ha confermato le speculazioni: il 13 dicembre a Parigi cercherà di porre fine o almeno creare le premesse della fine del più devastante conflitto su suolo europeo dalla seconda guerra mondiale. Ma – attenzione – la conferenza internazionale sull’Ucraina non sarà una conferenza di pace. E nemmeno ha all’ordine del giorno una tregua. Sarà una conferenza sull’"assistenza" a quella martoriata nazione. Lo scopo dichiarato è aiutarla a superare un inverno terribile dopo quasi dieci mesi di guerra. Intere regioni saranno al freddo, senza elettricità, gas, acqua, infrastrutture sanitarie. Si teme un genocidio paragonabile all’Holodomor, 1932-1933: 4 milioni di ucraini morti di fame e gelo per volere di un altro feroce inquilino del Cremlino, il sovietico Stalin che sino a Kruscev anche i comunisti occidentali chiamavano Piccolo padre e protettore degli oppressi.

Lo scopo non dichiarato della conferenza è che da assistenziale faccia da preludio a negoziati di pace. Le ambizioni di Macron volano alte. Chissà che il "lavoro preparatorio", come recita il comunicato congiunto franco-americano, non porti davvero alla svolta, cioè alla cessazione delle ostilità. Lo lascia pensare una frase di Joe Biden, al quale i giornalisti hanno chiesto se sarebbe pronto a parlare con Vladimir Putin, definito a suo tempo macellario e assassino. Se lui fosse intenzionato seriamente a parlare di pace, ebbene sì, io sarei disposto, è stata la risposta. Ma non dipende solo da Putin. L’irriducibile Zelensky ci starà? Non vuole una tregua che consenta all’aggressore di riorganizzarsi. Comprensibile. È l’aggredito. Ma quanto gli costerebbe ancora?

([email protected])