Ora la sfida è convincere i boh vax: "Non sono paranoici, solo indecisi"

Il sociologo Magatti: "Lo Stato non deve fare l’errore di accomunarli a chi rifiuta di vaccinarsi per principio"

Una ragazza durante il vaccino

Una ragazza durante il vaccino

Risultato di giornata: il 70 per cento di italiani over 12 è completamente vaccinato e un altro 9,2% è in attesa della seconda dose. E dal restante 20,8% di non immunizzati quale risposta dobbiamo aspettarci? "Un’adesione parziale ma significativa alla campagna vaccinale, che lo Stato potrà ispirare con un sapiente lavoro di comunicazione", scandisce Mauro Magatti, 61 anni, sociologo ed economista, professore ordinario di Sociologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

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Illumini la sfida cruciale.

"L’80% di adesioni è di per sé un evento limite in ogni contesto democratico. Perché la democrazia genera dibattito e il dibattito produce polarizzazioni fisiologiche. Le tifoserie".

Insomma, dovremmo essere contenti ma non possiamo, perché la pandemia non è un voto, e quindi neppure le percentuali ’bulgare’ assicurano il successo.

"La scienza ci dice che questo 80% – numero molto alto, per nulla scontato e decisamente positivo – non basta a tutelare i singoli e la collettività. Proprio perché la pandemia rappresenta un momento di assoluta eccezionalità, anche la risposta sociale deve essere da primato".

Come si ottiene questo traguardo?

"Anzitutto evitando di considerare i non vaccinati di oggi come un’unica platea uniforme".

I no-vax vanno isolati?

"Non vanno mescolati e confusi con tutti quegli italiani che sono molto dubbiosi, ma una scelta intima e definitiva non l’hanno ancora compiuta. Guai ad agevolare saldature emotive con chi rifiuta i vaccini per principio".

I boh-vax hanno già una voce sulla Treccani. Mica facile smuoverli. Chi ha una sigla in Italia se la tiene.

"Ma questa categoria racchiude soggetti con motivazioni e storie molto diverse".

Si possono recuperare il fragile dubbioso, lo scettico temporeggiatore, l’analfabeta digitale che non sa prenotare, il furbetto che ’intanto vaccinatevi voi e poi magari io ci penso’?

"Sì, perché dietro questi e altri profili non c’è una demonizzazione del vaccino o della scienza. Non ci sono paranoie cospirazioniste che si rinforzano nella bolla dei social. Ci sono solo solo persone che non hanno ancora trovato la forza e l’energia per decidere. Lo Stato può e deve convincerli".

Come?

"Attivando tutti i canali di relazione interpersonale. Medici di base, magari con l’aiuto dei familiari, e datori di lavoro, quando ci sono. Bisogna parlare alle persone. Prima ascoltando e poi spiegando. L’aggressività non produce risultati. Meglio il dialogo, associato a meccanismi di incentivazione e penalizzazione della mobilità".

Il settore sanitario e quello della scuola però restano in ebollizione con sacche di resistenza piuttosto combattive.

"La pressione esercitata dallo Stato con normative più stringenti per chi ogni giorno è a contatto con il pubblico e ha responsabilità evidenti rappresenta una misura proporzionata".

Ma la seduzione dell’obbligo vaccinale ora si va facendo strada anche nel Cts. "Per motivi di sanità pubblica", come propone l’immunologo Sergio Abrignani, "a tutela dei non vaccinati che altrimenti rischiano la vita".

"Un’ipotesi così estrema potrebbe essere esplorata solo se il quadro pandemico peggiorasse. Lo Stato deve agire con criteri di equilibrio e di opportunità. Meglio mobilitare i medici di base e allearsi con i datori di lavoro. Mi creda, anche un direttore del personale in questi tempi complicati può risultare uno straordinario persuasore sui vantaggi individuali, collettivi – e di sistema – di una vaccinazione consapevole".