Gabriele
Cané
Ci fu un tempo in cui essere Onorevole era effettivamente onorevole. Un punto d’arrivo nella élite della politica, della società. Un’eccellenza, termine che non a caso veniva spesso usato per deputati e senatori. Poi è venuto il tempo del discredito. Che il Palazzo si è cercato, ovvio, senza badare a spese (nostre) e che le Procure hanno alimentato: le "mani pulite" erano quelle della magistratura (che pulpito!) e dei partiti "puliti" per definizione; gli altri erano sporchi. Così, il connotato di alcuni, magari di parecchi, si è trasformato di fatto in un marchio per tutti. O quasi. Su queste basi, allargando a macchia d’olio la ripulsa per l’universo della politica, hanno seminato e mietuto (voti) Grillo e i 5Stelle. Il loro pensiero era (?) profondo e articolato: nella vita pubblica sono tutti ladri, tutti corrotti, tutti incapaci, tutti da galera. Un sentimento diffuso, certo, alimentato giorno dopo giorno dal cattivo esempio di tanti eletti, e dalla generalizzazione dei pentastellati. E non solo. Adesso, contrordine. Di Maio si pente del giustizialismo forcaiolo ("Mai più gogna, chiedo scusa"), e Conte appare elastico sul numero dei mandati parlamentari, fino a riabilitare persino la parola Onorevole che, bontà sua, non è "disonorevole". Non è cioè il suo contrario. Evviva. Ma che dire di questa mutazione genetica? Che è positiva, certo, perché ogni riflessione intelligente è più gradita di una stupidaggine. Bisogna anche chiedersi e chiedergli, però, se e come si possa innescare la retromarcia nella testa della gente per ricreare un clima minimo di fiducia che aiuti le istituzioni a essere migliori, visto che chi le abita non arriva da Marte, ma lo abbiamo eletto noi. Bisognerà che i nostri eroi diano seguito e contenuto a queste abiure volanti. Per adesso accontentiamoci della riabilitazione degli Onorevoli. Sperando che loro facciano il possibile per farsi riabilitare.