Mercoledì 24 Aprile 2024

Operato d’urgenza Evirato per sbaglio, il tumore non c’era Urologo sotto accusa

Le analisi successive: un’infezione da sifilide curabile con antibiotici. Il 68enne è in stato depressivo, ha chiesto 100mila euro di risarcimento. I legali: "Bastava una biopsia, ma è stata fatta solo dopo l’intervento"

di Federico D’Ascoli

e Gaia Papi

Un errore che ha cancellato la sua vita sessuale, cambiato le sue abitudini al bagno e per il quale adesso chiede almeno 100 mila euro di risarcimento al medico che lo ha operato.

È la storia di un aretino di 68 anni che quattro anni fa si è dovuto sottoporre a un intervento di amputazione del pene per rimuovere un tumore che però non c’era. Si trattava invece di una malattia venerea curabile con antibiotici. L’accusa per l’urologo è di lesioni gravissime e ha anche citato lo stesso dottore nonché la Usl Sud-Est della Toscana in una causa civile. Il suo caso il 9 marzo approderà nell’aula del giudice Claudio Lara, per l’udienza preliminare.

Gli avvocati Roberto Bianchi, Gianmarco Bianchi e Antonino Belardo, con studio a Città di Castello sono convinti della colpevolezza del chirurgo. "Chiederemo giustizia per l’invalidità permanente del nostro assistito, per quella temporanea del post operazione e per il danno morale, non ancora quantificato: la perizia psichiatrica che porteremo dimostra un forte stato depressivo del nostro assistito" spiega l’avvocato Gianmarco Bianchi. L’uomo, residente nell’Altotevere umbro, è sconvolto, si è chiuso in se stesso interrompendo ogni tipo di rapporto, con quello della donna che gli stava vicino e con gli amici.

La vicenda inizia nell’autunno 2018 quando nota una tumefazione dell’organo sessuale. Decide di rivolgersi al medico di famiglia. Questo gli consiglia subito una visita urologica che avviene il 12 ottobre: è un tumore, bisogna intervenire il prima possibile. Già un mese dopo il signore finisce sotto i ferri al San Donato per un intervento di glandectomia, sostanzialmente un’operazione demolitiva del pene.

Ma dopo l’intervento la scoperta. La biopsia rivela che nei tessuti asportati non ci sono tracce di cellule tumorali. Seguono altre analisi che alla fine, stavolta all’ospedale di Città di Castello, portano a tutt’altra diagnosi: infezione da sifilide. Una malattia che con tre mesi di antibiotico sarebbe scomparsa. A questo punto l’uomo si rivolge agli avvocati Roberto e Gianmarco Bianchi di Città di Castello, che presentano in procura, ad Arezzo, la denuncia per lesioni gravissime.

Se ne occupa il pm Laura Taddei. Dalla consulenza medico-legale ne emerge che le linee sanitarie in materia lasciano margini: non si tratta necessariamente di una colpa medica, oltretutto i risultati dell’esame istologico hanno un margine di errore del 20 per cento. Taddei chiede l’archiviazione. Ma né l’uomo né gli avvocati ci stanno. A dicembre si tiene l’udienza nell’aula del Gip Giulia Soldini secondo la quale non si può escludere la responsabilità colposa dell’urologo, ordina di formulare l’imputazione coatta. Il 3 febbraio la richiesta di rinvio a giudizio; il 9 marzo si terrà l’udienza preliminare in cui il Gup dovrà decidere se mandare a processo l’autore della diagnosi e dell’operazione.

"Era sufficiente, prima dell’intervento, asportare un piccolo lembo di pelle per effettuare la biopsia e capire se si trattava di tumore. Biopsia che è stata invece effettuata dopo l’intervento" spiegano gli avvocati.