Omicidio fidanzati Lecce, il killer tiene il punto: "Il movente? Il sesso non c'entra"

Il 21enne reo confesso risponde al gip senza sciogliere il mistero. Convalidato il fermo, i suoi difensori vagliano la richiesta di perizia psichiatrica. Intanto, il papà di Eleonora ingaggia la Bruzzone come consultente tecnico

Daniele De Santis ed Eleonora Manta, le due vittime

Daniele De Santis ed Eleonora Manta, le due vittime

Lecce, 1 ottobre 2020 - "Molto provato e scosso. Ma è stato collaborativo e ha risposto alle domande". Sono laconici Andrea Starace e Giovanni Bellisario, i due avvocati di Antonio De Marco, l’assassino dell’arbitro Daniele De Santis e della fidanzata Eleonora Manta, uccisi la sera del 21 settembre. Davanti al gip Michele Toriello il giovane omicida di Casarano non fa scena muta durante l’udienza di convalida e conferma che ha "ucciso perché qualcosa di loro mi aveva dato fastidio". Un movente labile, non convince il gip che lascia Antonio in carcere dove resta in isolamento. "Una crudeltà aggravata dalla progettazione di un ulteriore e raggelante corredo di condotte atroci", scrive Toriello.

L’interrogatorio dura tre ore nel penitenziario di Borgo San Nicola a Lecce, presente la pm Maria Consolata Moschettini. Davanti ai magistrati lo studente di Scienze infermieristiche cerca di spiegare, risponde alle domande e imbastisce una sua verità. "Ero accecato dalla rabbia, ma non abbiamo mai avuto litigi o screzi. E, devo ammettere, neppure una grande familiarità, quasi non ci conoscevamo. Io innamorato di uno di loro? Assolutamente no". Allora cosa ha fatto montare quella rabbia fino ad armargli la mano e uccidere così tanto crudelmente i due ‘quasi amici’. De Marco svicola, si rifugia nei vuoti di memoria, continua a rappresentare la sua infelicità come motore di vendetta verso i due fidanzati che cenavano per la prima volta in quella casa di via Montello 2 in cui lui era stato inquilino per una manciata di mesi.

Così il gip gli chiede dei sei ‘pizzini’ ritrovati con l’indicazione del percorso, del tempo in cui doveva stare in casa e finanche delle modalità dell’omicidio. Particolari che testimoniano un cronoprogramma del delitto e una premeditazione a lungo covata (acquisto del coltello da caccia, della mascherina e delle fascette stringitubi), e non un raptus, un delitto d’impeto. "E' vero avevo un piano, ma non prevedeva alcuna tortura né lo smembramento dei corpi con acidi, acqua calda e candeggina. I solventi mi servivano solo per pulire le mie tracce nell’appartamento. Ho ucciso prima lei e poi lui con il quale c’è stata una colluttazione e mi ha strappato il passamontagna e una parte dei guanti".

Su uno dei biglietti era riportata anche la frase ‘Caccia al tesoro’, quasi volesse presagire un virtual game, ma su questo il giovane dice di non ricordare. Ma avrebbe rivelato come la sera del delitto, dopo essere rientrato a casa ed essersi sbarazzato dello zainetto, del coltello e del jeans sporco di sangue nel bidone di un condominio vicino, si è sentito male: "Ho avuto continui conati di vomito. Poi ho dormito fino al giorno dopo". L’interrogatorio di De Marco, quindi, non rischiara le ombre sul movente che appare ancora inconsistente, più legato alla psicologia che ai fatti. Un comportamento che apre la porta a una richiesta di una perizia psichiatrica. "Valuteremo nelle prossime ore", dice Bellisario. E parte la contromossa dei familiari di Eleonora che nominano Roberta Bruzzone come consulente tecnico anche al fine di tracciare un profilo caratteriale e psicologico del reo.