Omicidio di Garlasco, Stasi blindato in casa dei parenti: "Non ho ucciso Chiara e lo proverò"

Sedici anni per l’omicidio della fidanzata: perché non mi hanno creduto? di Gabriele Moroni Le tappe della vicenda

Alberto Stasi

Alberto Stasi

Garlasco (Pavia), 19 dicembre 2014 - «Purtroppo, non sarebbe la prima volta che gente innocente viene buttata in galera». È un Alberto Stasi sconvolto, sgomento, quello che affida la sua prima reazione, a caldo, dopo la condanna a 16 anni di reclusione per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi, il 13 agosto del 2007. È un amarissimo day after. «Adesso voglio capire perché non mi hanno creduto. La mia battaglia sarà lunga e sarà molto dura, ma io non mi arrendo. Alla fine ci sarà un giudice che dovrà credermi. Non sono stato io a uccidere Chiara. Questa sentenza mi sconvolge e mi rende tutto ancora più difficile».  Ospite con la madre in casa di parenti, quello che rimarrà per tutti il «biondino di Garlasco» misura, forse per la prima volta, il peso della solitudine. Un anno fa, il pomeriggio del giorno di Natale, ha perdutoI genitori di Chiara Poggi, Rita e Giuseppe, arrivano in tribunaleil padre, Nicola, una roccia, una forza inesauribile in difesa del figlio. Un ricordo che rimane dominante. «Penso a mio padre. Questo sarà un Natale doppiamente triste. Ma devo andare avanti. Per mio padre, che ha sempre creduto in me, e per Chiara. Anche loro meritano giustizia». Nicola Stasi fu il primo inquisitore del figlio. Si racconta che subito dopo l’omicidio prelevò Alberto e lo condusse in una località isolata, in campagna, lontano da occhi curiosi e orecchie che intercettavano. Lo interrogò fino alla brutalità. Quando raggiunse la convinzione assoluta della innocenza di Alberto, divenne il suo paladino più strenuo, un’ombra fedele, onnipresente, nelle aule giudizarie, in strada inseguiti dai giornalisti, davanti a selve di microfoni spianati. E Chiara. «Chiara – dice Alberto Stasi – sarà sempre un ricordo. Speravo che fosse finita con la Cassazione. Non è stato così. Devo andare avanti. Non posso arrendermi». La Cassazione, allora. Ultima spiaggia per fugare l’ombra del carcere che si è materializzata all’improvviso. I difensori sono già al lavoro, anche se dopo una scarcerazione e due assoluzioni, la delusione è difficile da metabolizzare. L’avvocato Giuseppe Colli è vicino a Stasi da quando pareva un predestinato alla condana. Con lui il professor Angelo Giarda e il figlio Fabio. «Personalmente – dice Colli – sono molto arrabbiato. Ritengo che non abbia senso una condanna di questo genere. Vedremo le motivazioni e faremo ricorso. Non permetteremo che un innocente vada in galera. Questa è una sentenza inquisitoria. Alberto è stato accusato perché secondo loro non ha detto cosa faceva faceva fra le 9.10 e le 9.30 di quella mattina. Lo dico io: era in casa che dormiva. La prima sveglia è suonata alle 9 e la seconda alle 9.30. Che fosse in casa lo confermano i vicini che lo hanno sentito rincasare all’una di notte e uscire alle 13,45».