Omelie brevi La profondità non è prolissa

Lucetta

Scaraffia

Non è la prima volta che papa Francesco invita i sacerdoti a limitare il tempo delle omelie a dieci minuti, non di più. Se lo ripete è perché le sue parole cadono nel vuoto: i pochi che ancora partecipano alle messe domenicali sono spesso – oserei dire quasi sempre – sottoposti a lunghe e inutili omelie che rendono penosa la frequenza domenicale. Inutili non solo perché dopo circa otto minuti la gente non riesce più a seguire, come ricorda opportunamente Bergoglio, ma soprattutto perché le omelie sono poco significative: infatti, partendo da una frase del vangelo, si dilungano poi in discorsi generici e fumosi, nei quali la parola “amore” ricorre insistentemente, in modo ripetitivo e privo di efficacia. Bisogna dire la verità: quasi sempre le omelie, qualunque testo commentino, non fanno che ripetere le stesse cose. In genere, un invito banale e zuccheroso all’amore, che ci sta sempre bene ma che è senza rapporto autentico con la vita reale, dove l’amore è così difficile da vivere e riconoscere. Invece le parole dei vangeli – che riportano quelle di Gesù – sono concise e potenti, strettamente legate a esperienze della vita reale: come il comportamento di persone che incontra, brevi aneddoti esemplari, oppure riflessioni che prendono spunto dalla natura, sul fico che non dà frutti, sulla vite e i suoi tralci. Questa concisione e questa concretezza, che riallaccia ogni riflessione alla realtà, mancano del tutto alle omelie di oggi, che oscillano fra un buonismo generico e un’esibizione di competenze teologiche alle quali in genere i fedeli sono poco o nulla interessati. Certo, seguire l’esempio di Gesù nella nostra vita quotidiana è molto difficile. Ma almeno nelle omelie i sacerdoti lo potrebbero fare, e con una certa disinvoltura, avendo a disposizione il modello più semplice ma anche il più profondo e innovativo che esista: quello dell’insegnamento di Gesù nei vangeli.