Oggi nessuno come il Maestro Ci sono i social

Cesare

Sughi

era una volta. Oppure no. Oppure chi afferma, io tra questi, che la grandezza di Ennio Morricone resta ineguagliata, che è roba d’altri e più rosei tempi, è un bolso nostalgico? Bertolt Brecht proclamava la felicità e la fortuna delle epoche che non hanno bisogno di eroi. E forse è questa, questa normalità da Oscar, elaborata giorno dopo giorno, la radice della grandezza del compositore e della generazione dei grandi vecchi (Franca Valeri). Grandezza senza mitologie, senza strilli, senza televisioni pronte al battage. Senza la sfacciataggine dei talk show. Viene in mente la lunga durata di uno storico come Fernand Braudel, la lunga lena dei fatti collettivi e personali, l’emergere operoso dell’uomo e della sua civiltà. Una dimensione che non conosciamo, e che in molti casi troviamo irritante, estranea, scomoda. Non è solo abilità scritta sul pentagramma del maestro scomparso, è la capacità di organizzare il proprio lavoro al ritmo stesso della vita e delle sue mete. Con gli altri. La fedeltà di Morricone, alla musica, a Roma agli affetti, è il simbolo di quella durata instancabile, è un segno che passa i decenni e li nutre, è il ‘900 con la sua voglia di sperimentare. Rinunciamo ai confronti. Noi siamo quelli del post e del selfie e del tweet. Del bagliore spazientito che si infiamma ed è già spento, che non sa guardare né indietro né avanti. Del presente continuo. Morricone? È oltre.