Mercoledì 17 Aprile 2024

Oggi la conferma del segretario

Un gruppo di delegati ha abbandonato il congresso non appena la premier ha iniziato a parlare. La portavoce: "Con noi non c’entra niente". Sui banchi vuoti i peluche per ricordare i bimbi di Cutro

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RIMINI

Giorgia Meloni è il mezzo, Maurizio Landini è il fine. Nei peluche stesi fuori del palazzo dei congressi di Rimini o in quelli lasciati dai delegati della minoranza anti-Landini mentre uscivano dalla grande sala cantando Bella Ciao c’è prima di tutto un moto di contestazione verso la scelta del segretario generale. "Siamo quella parte di sindacato che da subito ha espresso contrarietà alla partecipazione di Giorgia Meloni al congresso", spiega Eliana Como, portavoce della minoranza interna. "L’assemblea è il luogo della nostra discussione. Non è il luogo dove invitare Giorgia Meloni. La sua cultura politica è inconciliabile con noi. Oggi parleranno i peluche per noi. Non fischieremo, non le regaleremo la soddisfazione di dire che prima viene invitata e poi fischiata". Eliana Como è la sindacalista iscritta alla Fiom che si è fatta fotografare con la scritta sulla spalle "Meloni pensati sgradita alla Cgil", scimmiottando quella mostrata da Chiara Ferragni sul palco del festival di Sanremo (allora fu "pensati libera"). Un gioco da ragazzi per Giorgia Meloni buttarla sull’ironia, "non pensavo che Chiara Ferragni fosse un metalmeccanico".

Una sensazione, quella di Eliana Como, che molti delegati, anche non di minoranza, condivide, se pur a denti stretti e taccuini chiusi. Ma basta andare sui social per scoprire che il sentimento più comune è questo. C’è chi accusa il segretario di aver commesso un clamoroso "autogol", chi di aver regalato alla Meloni un insperato "palcoscenico mediatico", chi di non aver saputo mettere in campo una vera strategia di contrapposizione proprio nel momento in cui in Francia i sindacati costringono in difficoltà il governo. Insomma di essere stato troppo debole, o come minimo di non aver saputo distinguere tra confronto obbligato tra controparti e dialogo un po’ troppo costruttivo, specie se poi la Meloni arriva a Rimini e a livello di contenuti non concede niente ma proprio niente alla Cgil. Per di più il giorno dopo una odiata riforma del fisco.

Ma sono tutti aspetti che al di là dei peluche della minoranza, in sala non si evidenziano. Quando la Meloni parla regna il silenzio, e non si ascolta né un fischio né un applauso (eccetto quello timido nel momento in cui viene rievocato l’assalto alla sede di Roma). La richiesta avanzata all’inizio dal segretario generale viene scrupolosamente rispettata, ma sa di finto, o per lo meno di forzato. Il giorno precedente come in tutti i congressi di questo mondo i fischi erano volati, eccome se erano volati. Chiedere a Calenda, che aveva pure risposto. E dire che nei congressi i fischi agli avversari non hanno mai fatto male a nessuno, e con la sua ostinata, quasi sfacciata, rivendicazione delle cose fatte qualcuno ci poteva anche star bene. E invece niente, la platea resta sospesa. Le uniche contestazioni sono fuori, con gli striscioni e i peluche di Eliana Como e dei suoi ("Meloni non nel nostro nome") e paradossalmente quelle dei bagnini che chiedevano alla premier di fermare le aste degli stabilimenti balneari. Gente di destra che prende di mira una premier di destra al congresso del sindacato di sinistra. Ma loro non avevano la consegna del silenzio.

Pierfrancesco De Robertis