Mercoledì 24 Aprile 2024

Nubi leghiste nel governo "Sull’Ucraina è rischio crisi"

Il 21 giugno Draghi alle Camere. Salvini attacca Di Maio, Giorgetti teme il peggio "Se il Parlamento voterà diversamente dal premier ci saranno conseguenze"

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di Antonella Coppari

Guai a fare dell’Ucraina un campo di battaglia politico. Il terreno è minato, Conte e Salvini devono sapere che non si scherza: il 21 giugno, quando le Camere voteranno sulle comunicazioni di Draghi, o il governo incassa l’ok della maggioranza, oppure si apre la crisi. Giancarlo Giorgetti non usa giri di parole: "È un passaggio rischioso, il presidente del Consiglio persegue la pace: non so cosa proporrà, ma il Parlamento è sovrano. E quindi se non la pensa come il premier, bisognerà trarre le conseguenze". Il ministro dello Sviluppo economico si rivolge tanto al leader M5s quanto al Capitano, che, però, è il destinatario principale del richiamo. E se Giorgetti ritiene opportuno lanciare un simile allarme, è segno che teme le scelte del suo leader. In effetti negli ultimi due giorni Salvini ha moltiplicato il volume di fuoco: non è tanto la difesa del suo diritto a dialogare con l’ambasciatore russo e neppure il ribadire la volontà "di proseguire a testa alta sulla strada del confronto per arrivare alla pace". Il capo del secondo partito della maggioranza afferma anche che "se ci fosse un ministro degli Esteri che fa il suo dovere", non spetterebbe a lui muoversi. E, parlando degli sbarchi a Lampedusa, prende di mira la responsabile dell’Interno, Luciana Lamorgese: "Faccia qualcosa per dimostrare di guadagnarsi lo stipendio". Con tali bordate contro caselle chiavi è inevitabile che sorgano dubbi sulla sincerità del suo sostegno all’esecutivo. "Starci è un atto d’amore che costa", assicura lui.

Il Pd appare consapevole del rischio e, per evitare che la tensione si impenni ulteriormente, non rincara i toni sul viaggio a Mosca. Letta lo critica: "Iniziativa estemporanea: Salvini si è fatto male da solo". Ma la tentazione di processare il leader leghista in aula è svanita, e pure il dibattito al Parlamento europeo - chiesto da Simona Bonafè – sulle relazioni tra destre Ue e Russia non sembra appassionare il Nazareno. Osserva Enrico Borghi: "Rifiutare le sanzioni, contestare il sostegno alla resistenza ucraina, isolarci dai nostri alleati, è forse la strada di quella che Salvini chiama pace? O non è invece la strada della capitolazione dell’Ucraina?". Soprattutto, il sottosegretario Gabrielli assolve di fatto il reprobo: "Le sue azioni non pongono pregiudizi alla sicurezza nazionale che è più grande delle iniziative di pur autorevoli esponenti politici". Ma la minaccia non è dissipata, e ancora meno lo è sul fronte 5stelle. Conte ribadisce la determinazione ad impedire che l’Italia invii nuove armi all’Ucraina. "Abbiamo contribuito con tre forniture: ora spazio alla diplomazia". Quella del Nazareno è attivissima per arrivare a una risoluzione comune il 21, che eviti la spaccatura della maggioranza temuta da Giorgetti.

Di certo nella risoluzione non figurerà la parola "armi": la formula potrebbe essere qualcosa come "la conferma del sostegno all’Ucraina nelle forme già decise dal Parlamento". Che soddisfi Conte (oggi riunisce i vertici M5s) è improbabile. L’ossatura del testo sarà calibrata parola per parola, oggetto di bracci di ferro persino sulle virgole. Il nervosismo prima del dibattito sarà alto. Ma i democratici sono convinti che alla fine non potrà che prevalere la necessità di salvaguardare l’alleanza con il Pd. Tanto Palazzo Chigi quanto il Nazareno sono certi che il leader M5s si accontenterà di una mediazione formale ma si piegherà nella sostanza.