Non è peccato dare la caccia agli untori

Marco

Buticchi

Il sindaco della mia città ha preso in prestito una carreggiata carrabile per distanziare gli opposti sensi di marcia dei pedoni. E così, chi inforca la passeggiata a mare in controsenso, viene additato dagli altri in scene che ricordano Fuga di Mezzanotte

quando Brad Davis inverte la rotazione attorno al pozzo per la sgambatura dei

detenuti. Alla fine, stanco di ricevere rimbrotti da chi incontra, il marciatore

impreciso se ne torna sulla retta via (cosa che peraltro non accadde nel capolavoro di

Parker). Mi stupisce il muro sociale che si erge dinanzi al potenziale untore. Rappresenta un indice di quanto la paura covi ancora dentro di noi. E, forse, mantenere viva la tensione rappresenta la miglior medicina per non ricaderci ancora.

Capisco che trovarci nella semi-normalità comporti un logico calo delle difese. Ma basta guardarci attorno per alzare di nuovo la guardia: il mondo ancora trema per questo maledetto virus. L’autoconvinzione d’immunità diventa, allora, solo un modo per danneggiare noi stessi e chi ci circonda. Prova ne sia il recente caso di un malato che, rifiutato il ricovero, ora lotta tra la vita e la morte in un reparto di terapia intensiva. A pagare le conseguenze non sarà il solo, ma una regione intera. Da questo, però, a vedere untori ovunque, passa un abisso: usando le dovute cautele, dovremmo riuscire a ridurre il tempo tra i mesi passati nella paura e quelli che mancano a un salvifico vaccino. La maggior tutela per non ricascarci – oltre alle cautele che a volte disattendiamo – è, per me, quella maturità che abbiamo mostrato al mondo nei momenti più gravi di questa brutta storia. Allora ci siamo comportati tutti da popolo responsabile e rispettoso della nostra vita e dell’altrui salute senza inutili isterismi e senza nessun ‘bullo della passeggiata’ che, per fuggire dalla mezzanotte del contagio si è messo a girare in senso contrario a quello di marcia.