Venerdì 19 Aprile 2024

"Non ho le gambe, la burocrazia dice di no all'indennizzo"

Bologna, la lotta di un’invalida dalla nascita. "Un medico ha certificato per errore che mi manca un solo arto, così non mi danno il vitalizio"

Maria De Rosa, 49 anni, menomata sin dalla nascita, cammina grazie a due protesi

Maria De Rosa, 49 anni, menomata sin dalla nascita, cammina grazie a due protesi

Nata senza gambe, si trova oggi costretta, a 49 anni, ad affrontare una battaglia legale per dimostrare l’evidenza e vedersi riconosciuto il vitalizio che le spetterebbe di diritto. Indennizzo negato perché, secondo una commissione medica, alla donna mancherebbe una sola gamba. È l’odissea di Maria De Rosa, di Molinella (Bologna), una sopravvissuta, perché fa parte di quelle persone che, dalla nascita, presentano malformazioni congenite compatibili con gli effetti della talidomide, farmaco killer che ha fatto enormi danni, negli anni Cinquanta e Sessanta, quando veniva somministrato con leggerezza alle donne incinte. Ha dovuto affrontare ostacoli immensi nella vita, ma non si è mai arresa. Si è laureata in giurisprudenza, ed è diventata dipendente Inail e campionessa italiana nel 2014 di canottaggio paralimpico.

L’ultima ‘montagna’, apparentemente insormontabile, è però rappresentata dalla battaglia che ha ingaggiato con la direzione generale del Ministero della Salute per farsi riconoscere un risarcimento-vitalizio, previsto per legge, proprio per i danni subiti dall’assunzione del farmaco da parte della madre. La donna sta vivendo un impasse: prima, a seguito di una visita del dicembre 2019, la Commissione medica ospedaliera del dipartimento militare di Medicina Legale le ha riconosciuto i danni dovuti al farmaco, poi un secondo verbale, riferito alla stessa visita sostenuta dalla donna, le ha negato il vitalizio, in quanto avrebbe una ‘malformazione non compatibile perché monolaterale’. In pratica, secondo la Commissione medica, alla donna mancherebbe una gamba sola e non due, come è evidente per chiunque la conosca. Ma la Direzione generale di vigilanza sugli enti e la sicurezza delle cure ha ritenuto di negare il diritto all’indennizzo sulla base di tali considerazioni.

De Rosa racconta la sua odissea: "Il farmaco, che mi ha causato questa menomazione, è stato ritenuto responsabile di malformazioni di neonati nati anche a fine anni 60, con sentenze passate in giudicato. Così ho presentato un ricorso amministrativo contro questa incredibile valutazione della mia situazione. Dopo mesi in cui non mi rispondeva nessuno, li ho nuovamente contattati e mi è stato risposto che in questi casi non è ammesso un ricorso amministrativo, ma per opporsi bisogna farne uno giurisdizionale. Cosa che ho fatto in questi giorni perché non mi arrendo. Ho subito un grave danno dalla nascita. Gli effetti di quel farmaco sono riconosciuti per legge. Dopo una visita sono stati fatti due verbali, il primo sostanzialmente mi dà ragione e il secondo, invece, dice addirittura che mi mancherebbe una sola gamba. Non è per un questione economica, ma per l’incredibile ingiustizia, che ho deciso di andare avanti finché non verranno riconosciuti i miei diritti. Per tanto tempo non ho detto e fatto nulla, considerando la pandemia in corso mi sentivo quasi in colpa nel chiedere informazioni sulla mia pratica. Ma poi, leggendo le motivazioni, mi sono sentita presa in giro ed ho deciso che è ora di dire basta".

La donna ha accanto persone che la sostengono: "Ringrazio i miei avvocati Ermanno Zancla e Federica Licata per il supporto legale e morale, mia madre e tutti gli amici che mi sostengono e mi spronano a non mollare".