Davide
Rondoni
Sul suicidio di Giuseppe De Donno (il medico che curava il Covid con il plasma) si possono mormorare solo parole di preghiera. Il resto è non solo inutile, ma poco rispettoso. "Non fate pettegolezzi", lasciò scritto Pavese, suicidandosi. Perché ogni parola che vuole interpretare un suicidio è solo pettegolezzo misero. L’animo umano è un mistero, noi stessi lo siamo a noi stessi. Il cuore è un guazzabuglio, diceva Manzoni. Interpretare una vita, pensare di capirla, spesso medicalizzando ogni disagio come se ci fosse una pastiglia per tutto, è una delle forme di violenza più gravi della nostra cultura. Togliersi la vita è un atto oscuro e sfuggente, e anche laddove esistono biglietti, dichiarazioni etc (e non è questo il caso), ogni illazione strumentale è bassa e vigliacca. Possiamo parlare dei meriti o delle idee, della umanità espressa da De Donno nella sua vita professionale e civile, ma non interpretare la sua morte. Possiamo imparare dalla sua vita, non usare la sua morte. I nostri avi sapevano, a volte con semplice luminosità, che l’animo di un uomo lo può leggere e comprendere solo Dio.
Non era solo un gesto di fede, era un gesto di difesa della dignità di chiunque. Si possono giudicare gli atti (un suicidio o altro atto di qualsiasi natura) e ritenerli sbagliati, ma questo non autorizza a voler “possedere” e spiegare e giudicare la coscienza di una persona, tantomeno una coscienza turbata. Siamo un mistero a noi stessi, con buona pace dei tristi profeti dell’autodeterminazione e di idee fesse dominanti oggi in quanto comode al Potere che ha mille volti ma un solo scopo: farti credere che sei suo. E quindi lasciamo in pace De Donno, e gli altri come lui che con meno clamore compiono un gesto buio e stridente. Preghiamo per loro e per la sofferenza di chi lo ha amato, se vogliamo dire qualcosa. Certo guardiamo la sua vita se ci insegna qualcosa, ma la sua morte lasciamola a lui e a Dio.