"Non confessò l’omicidio di Sarah" Niente permesso-premio a Sabrina

La Misseri sconta l’ergastolo, la Cassazione: è ancora pericolosa, non ha mai rivalutato in modo critico il delitto

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di Nino Femiani

AVETRANA (Taranto)

Per la Cassazione non ci sono dubbi: è una donna ancora pericolosa. Per questo motivo, Sabrina Misseri – condannata all’ergastolo con la madre Cosima Serrano per aver strangolato e ucciso la cuginetta quindicenne Sarah Scazzi – deve restare in carcere e non può beneficiare di alcun permesso premio. Sabrina, oggi 34enne, aveva chiesto di poter trascorrere qualche giorno fuori dal carcere di Taranto dove è reclusa dal 15 ottobre 2010, ma gli ermellini le hanno negato ogni benefit. Anche se non è una condizione necessaria per accedervi, il fatto che non abbia mai ammesso il delitto di Sarah testimonia – a detta dei magistrati della Suprema Corte – la "mancanza di una rivisitazione critica del suo pregresso comportamento deviante". In pratica: la donna si rifiuta di comprendere fino in fondo quello che ha fatto e resta socialmente pericolosa.

La Misseri aveva fatto ricorso alla Cassazione dopo che il 12 aprile dello scorso anno il Tribunale di Sorveglianza di Taranto aveva condiviso la decisione del magistrato competente di negarle l’uscita-premio. A detta sua e del suo avvocato, Nicola Marseglia, non si era valutato nella giusta luce il positivo percorso penitenziario compiuto nella dozzina di anni trascorsi dietro le sbarre. Per il difensore dell’assassina di Avetrana è legittima la scelta di "non riconoscere" la propria colpevolezza per il delitto commesso e di professarsi innocente. D’altra parte, rileva Marseglia, "la condannata ha proposto ricorso davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo (ricorso dichiarato ammissibile, ndr) e intende avanzare istanza di revisione della condanna. Sicché – aveva concluso la difesa – è legittimo il comportamento di negazione della responsabilità che non può essere valorizzato per rigettare il permesso premio, istituto finalizzato a favorire il reinserimento sociale".

Un ragionamento che non ha trovato d’accordo la Suprema Corte (sentenza 10425 della Prima sezione penale) che ha ritenuto infondato il ricorso. Sabrina non solo non si dichiara colpevole, ragionano gli ermellini, ma snobba il personale carcerario che vuole approfondire con lei su quanto è accaduto in quella maledetta estate. L’omicidio della quindicenne Sarah Scazzi avvenne il 26 agosto 2010 per mano della zia Cosima e della cugina Sabrina (con la complicità del padre Michele che occultò il cadavere – è in carcere fino a maggio 2023 – ma continua ad autoaccusarsi del delitto). Il movente fu la gelosia che Sabrina nutriva nei confronti di Sarah, infatuata del suo fidanzato. Il 21 febbraio 2017, la Cassazione mise il punto definitivo e confermò l’ergastolo per Sabrina e per sua madre. ‘Zio Michele’, invece, venne condannato a otto anni. Ma i vari processi lasciarono punti oscuri a partire dal posto in cui Sarah venne uccisa, dall’orario de delitto, dal racconto di alcuni testimoni, dalla presenza delle due donne al pozzo in cui venne gettato il cadavere. Da allora cadde il sipario sulle due donne fino alla richiesta di permesso-premio motivato anche dal comportamento operoso tenuto in carcere. Sembra, infatti, che Sabrina e la madre non restino con le mani in mano dietro le sbarre, ma si diano da fare soprattutto con lavori sartoriali. Durante la pandemia, le due hanno dato il loro contributo soprattutto nella produzione di mascherine da distribuire poi all’interno del carcere. Una condotta giudicata impeccabile dalla difesa che aveva in mente di chiedere anche uno sconto di pena.