Non è il nome a dare sostanza al ruolo

Viviana

Ponchia

Voglio essere un direttore, magari un presidente. Capa dello Stato no: lo sentite lo stridore dell’unghia sulla lavagna? Giudice e avvocato. Geologo. Architetto e non architetta. Soprattutto per come suona. E perché altrimenti nei cantieri poi ci andate voi. Un astronauta senza apostrofo, sperando che almeno nello spazio il dettaglio sia irrilevante. E se mi va poeta, pilota, ingegnere. Prendo giornalista così come viene senza minacciare ritorsioni (giornalisto?). Sono d’accordo con Beatrice Venezi che si assume la responsabilità di farsi chiamare come vuole. E anche con Gaia Tortora che twitta "che palle" perché siamo ancora ferme qui, a domandarci se una dottoressa sia eventualmente anche medico. Tanto come ti muovi sbagli.

Ho pensato di cavarmela con Virgilio ("paulo maiora canamus"), che è sempre un bel salvagente per uscire dal pantano. Mi ha riportata a terra l’ammonimento di Orwell: il linguaggio orienta il pensiero, non è mai neutro e tu sei coinvolta. Io direttore, geologo e architetto avrei quindi già dato la mia visione del mondo: piuttosto anchilosata dal punto di vista di una giudicessa o di una sindaca. Mi schianto – da pilotessa – contro la mia arretratezza e il caos morfologico della lingua italiana: ma è davvero il nome a dare sostanza al ruolo? Grazie a scrupoli come questi nei convegni internazionali è sparito il "chairman". Prima lo hanno trasformato in "chairperson", poi semplicemente in "chair". Vedete voi.