No dei centristi a Silvio. "Ma chi glielo dice?"

Le formazioni guidate da Toti, Brugnaro e Lupi preferirebbero "mandare avanti" Salvini e Meloni. Non ci sono candidati alternativi

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di Antonella Coppari

Berlusconi non lo vogliono, ma nessun se la sente di dirglielo in faccia. Si parla dei centristi della destra, Coraggio Italia di Toti-Brugnaro, e Noi con l’Italia di Lupi: noblesse oblige, si sa, la nobiltà fa obbligo. L’altra metà dei moderati, quella proveniente dal centrosinistra, e cioè Italia Viva, non avrebbe remore a spiattellare il suo "no" a Silvio: "Votandolo faremmo un regalo a lui e al Pd, che finalmente ritroverebbe un nemico con cui combattere", avverte uno dei colonnelli. Ma la decisione finale Renzi non sembra ancora averla presa.

Il problema dei centristi – oggi alle 14 si vedono i gruppi di CI, domani Lupi riunisce i suoi, sabato lo farà il Matteo fiorentino – è comune all’intero quadro politico italiano: nessuna strategia, nessuna idea e neppure alcuna possibilità di inventarsi un nome finché non si risolve il caso Berlusconi, il vero macigno che paralizza anche le manovre che di solito proliferano alla vigilia della sfida del Colle. Dentro Coraggio Italia (31 parlamentari) sono molti, forse addirittura una quindicina quelli decisi ad affossare nel segreto dell’urna l’ex premier, che sta cercando in tutti i modi di ammorbidire le resistenze ampliando i suoi consensi. "Non lo voto neanche morto", assicura uno di loro. Italia viva è compatta sul no, ma se il capo dovesse dare indicazione opposta si sfalderebbe e almeno metà gruppo seguirebbe l’indicazione pro-Silvio. In ogni caso, nell’ala destra nessuno si assumerà la responsabilità di dire forte e chiaro al Cavaliere che non ha chance: "Lo facciano Salvini e Meloni".

Disarcionato il capo di Forza Italia, dato e non concesso che lo sgambetto riesca, qual è l’orizzonte? Offuscato dalla nebbia. "Per la prima volta – riconosce Osvaldo Napoli, deputato di CI – vedo una campagna elettorale per il capo dello Stato: in termini istituzionali, non è un bello spettacolo". Nel vertice odierno di Coraggio Italia, spiega il senatore Gaetano Quagliariello, si metteranno i paletti del campo in cui ci si muove: troppo presto per andare oltre. "Non deve subire contraccolpi il prestigio internazionale dell’Italia, la proposta deve comprendere la maggioranza di governo e possibilmente andare oltre; contestualmente, si deve prevedere un rinnovamento della squadra a Palazzo Chigi che ci veda partecipi, la legislatura deve arrivare al 2023".

Al momento, la bussola che accomuna l’intera area centrista – oltre 80 grandi elettori, in grado di pesare nella partita – il traguardo in nome del quale tutti sono pronti a federarsi, sia pure per lo spazio delle quirinalizie, è evitare il voto anticipato. Dunque per molti significa avere forti dubbi su Mario Draghi, perché per quanto il premier provi a rassicurare, il rischio che la sua ascesa produca inevitabilmente lo scioglimento delle camere è comunque fortissimo e in ogni caso meglio non correrlo.

Se non Draghi, chi? La realtà è che per i centristi va bene un nome qualsiasi: Amato, Casini, Mattarella, pure la presidente del Senato, Casellati.

Chiunque consenta di fare quadrato intorno alla sopravvivenza del governo, con il sogno di sfruttare l’anno in corso per varare una legge proporzionale, in modo da lasciare Super Mario a Palazzo Chigi ancora per un po’ dopo le elezioni, giusto il tempo per completare il risanamento e poi passare a dare una mano all’Italia da altra postazione: quella di presidente della commissione europea, carica che viene rinnovata nel 2024. Sulla carta il progetto non fa una piega. Nella realtà, è invece più che accidentato. Le incognite in campo sono persino troppe per nominarle tutte, ma di meglio non riescono a fare nemmeno i partiti più grossi, perché mai si dovrebbe chiedere a quella che, alìmeno inché non parte realmente il progetto del terzo polo di Renzi e Toti, resta una galassia di partitini?