Giovedì 25 Aprile 2024

No allo smartphone libero ai figli "Serve un patto con regole scritte"

Lo psichiatra spiega sottovalutazioni e pericoli. E come le famiglie possono rispondere alle nuove sfide "I ragazzi non hanno diritto a una seconda vita senza controlli, papà e mamma devono poter vigilare"

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di Giovanni Rossi

Gustavo Pietropolli Charmet, 82 anni, veneziano di nascita e milanese d’elezione, è uno dei più importanti psichiatri e psicoterapeuti italiani. Sul disagio giovanile e genitoriale connesso alle dinamiche della rete ha idee taglienti e definite. Vietato arrampicarsi tra gli alibi. Il problema va affrontato.

Come?

"Con un nuovo patto educativo – rigorosamente scritto – tra genitori e figli, magari aggiornato periodicamente, ma senza zone franche o zone grigie. Alla consegna del computer e dello smartphone, o dei successivi esemplari evoluti, i genitori fissano le regole e i figli le controfirmano. Non ci sono alternative".

Scenda nello specifico.

"Carissimo figlio, sei io ti do uno strumento che, seppur virtualmente, corrisponde alla consegna delle chiavi di casa nella mia generazione, allora dobbiamo accordarci su tutto. E in forma scritta perché non ci siano incomprensioni".

Stendiamolo questo contratto.

"Puoi usare il computer o lo smartphone dallealle; per studiaresocializzareinformartiascoltare musicavedere film; non puoi accedere a contenuti vietati ai minori o al gioco d’azzardio; non devi produrre contenuti a sfondo erotico; devi rispettare gli altri e non offenderli; devi consentirci la piena verifica della tua navigazione; non puoi impostare password sconosciute; non devi usare strategemmi per eludere le nostre verifiche; devi monitorare il tempo che trascorri connesso e mai esagerare; ogni sera devi consegnarci il dispositivo (anche per eventuali controlli) e non utilizzarlo più fino alla mattina. Un patto educativo molto dettagliato. Perché nessuno deve fare finta di niente e il confine tra atti leciti e trasgressioni (rigorosamente vietate) deve essere esplicito e responsabilizzante".

Genitori con limitate capacità tecnologiche contro nativi digitali. Una sfida impari?

"No, una sfida necessaria. Se padri e madri non capiscono la posta in palio, la loro autorità sarà automaticamente dissolta. Al tempo stesso i figli non possono pensare che sia un loro diritto avere una second life virtuale senza alcun controllo".

Rete e social incoraggiano narcisismo, ricerca del facile consenso, sentimenti di aggressività. E sono disseminati di trappole (anche sessuali). Chi deve spiegare i pericoli?

"Oltre alla scuola, sono sempre le famiglie le prime a dover agire. I nostri genitori pretendevano di sapere: “Con chi sei stato?Dove sei stato?Cos’hai fatto?“. Bisognava rispondere. Quel principio deve valere ancora. Perché il processo educativo vive di insegnamenti e verifiche: se cade questa dinamica, la regola di vita non è più fissata da papà e mamma ma da Instragram o dalla chat degli amici stretti. Però secondo un diverso sistema valoriale".

Quali processi si attivano quando un giovane travolto dagli effetti di esperienze in rete o di ingenuità sui social finisce per suicidarsi?

"La rete è virtuale e senza morale, confidenziale e talvolta clandestina. Il mondo è fisico, ha valori riconosciuti e dispone controlli incrociati. Il conflitto nasce quando i comportamenti virtuali non corrispondono alle aspettative reali. Una personalità in via di formazione, interamente proiettata sul futuro, può anche soccombere quando realizza la pesantezza del passato anche recente. Quando improvvisamente ne avverte la forza. Perché, mi creda..."

La ascolto.

"...la mediazione della socialità offerta dalla tecnologia configura un rischio ulteriore non sempre adeguatamente percepito".

Quale?

"Proprio nell’età dello sviluppo sessuale, che da sempre inaugura la stagione delle prime esperienze, oggi diventano possibili forme di seduzione, comparazione, esibizione che nella realtà sarebbero ben più complicate. Questo produce uno sbilanciamento emotivo. Un processo che approfondisce l’immaturità di una generazione che, un po’ per Covid un po’ per abuso di tecnologia, spesso difetta di esperienza fisica della vita. Così, quando virtuale e reale entrano in competizione, chi è giovane soffre di più. Rimediare si può, ma con un nuovo patto".