Giovedì 25 Aprile 2024

Niente sci, la grana rimborsi ai turisti. Ora le regioni del Nord chiedono i danni

L’addio alle piste costerà fino a 12 miliardi. I disobbedienti della neve: impianti aperti in Piemonte, a Livigno taxi al posto degli skilift

Niente sci, la grana rimborsi ai turisti

Niente sci, la grana rimborsi ai turisti

di Giovanni Rossi

Il giorno dopo la beffa atroce del veto allo sci, la montagna italiana offre un panorama di indignazione. E di ribellione, in qualche caso. In Lombardia, a Livigno, gli sciatori scelgono piste con partenza e arrivo servite dalla strada e con taxi e mezzi privati sostituiscono gli skilift. In Piemonte, a Bardonecchia, le campane della chiesa accompagnano la protesta dei maestri di sci e la serrata dei negozi, mentre in Val Vigezzo la società di gestione sfrutta il ritardo nella comunicazione del prefetto per aprire le piste alla clientela. Alle 10.46 lo stop diventa ufficiale e la stazione smette di vendere skipass, ma senza bloccare l’attività perché la gente ormai è in pista. I carabinieri si limitano a verificare che non si formino assembramenti. Nessuna sanzione. "Volevamo dare un segnale: non ci si può comportare in questo modo – dice l’amministratore Luca Mantovani –. Sabato abbiamo assunto dieci persone e io devo pagare i contributi". Immediato il paragone con la Francia: "Lì gli impianti sono chiusi e nessuno protesta, perché le autorità hanno preso i dati degli ultimi tre anni e hanno bonificato il 70%: io mi accontenterei del 40%". La stazione ossolana, come quasi dappertutto nelle Alpi e negli Appennini, resterà a disposizione di ciaspolatori e scialpinisti. Ma il danno economico prodotto dalla tardiva decisione del governo appare devastante per tutta la filiera.

Secondo Coldiretti, il turismo invernale sulle piste vale 10-12 miliardi annui, incluso l’indotto dagli agriturismi alle malghe. A Pasqua i conti saranno definitivi con una perdita complessiva di fatturato attorno al 90%. Confesercenti offre stime analoghe, con un calo di pernottamenti dell’85% e una flessione di almeno 18 milioni di presenze. Sentimenti di rabbia accomunano gestori funiviari, titolari degli alberghi, cuochi, camerieri e stagionali destinati al licenziamento: lavoratori in molti casi venuti dall’estero con largo anticipo per ragioni di quarantena.

Un mondo al collasso. Senza contare la corsa al rimborso degli skipass (dovuto) e dei soggiorni alberghieri. E qui la questione è invece assai scivolosa, perché tutto dipende dalle condizioni stipulate: gli alberghi infatti restano aperti e la causale Covid non può essere invocata. Molto dipende dalla volontà degli albergatori (che per tenersi la clientela potrebbero considerare le caparre o i saldi validi per il 2021-2022) o dalle condizioni negoziate con gli intermediari. Le associazioni dei consumatori puntano dritte al governo: "Anche i turisti vanno indennizzati". Il caso è aperto.

Anche per questo, secondo il governatore veneto Luca Zaia, non si può più parlare solo di ristori Covid ma di risarcimento danni "per i costi relativi all’apertura dell’attività" intempestivamente bloccata. "Dopo questa ordinanza decisa quattro ore prima dell’apertura delle piste – continua il governatore facendo presente che in Veneto si scia anche in notturna – è probabile che molte aziende non riaprano più". "Il mio pensiero – prosegue Zaia – va soprattutto ai molti stagionali ora senza lavoro e senza alcun diritto ai ristori. Abbiamo l’obbligo morale di pensare a queste persone". ll Piemonte solidarizza coi suoi centri alpini e valuta di costituirsi parte civile al fianco dei gestori per ottenere "indennizzi".

Il governatore dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini è preoccupato: guarda all’Appennino, dove "ci sono anche impianti sciistici comunali che vanno a pesare sulla pubblica amministrazione", e invoca "ristori importanti non solo alle società di gestione ma anche ad alberghi, bar, ristoranti, noleggi, scuole sci".