Niente riviste hard al boss. "Rischio pizzini in cella"

La Cassazione boccia la richiesta di un mafioso: potrebbe comunicare con l’esterno. Il carcere gli aveva concesso di ricevere soltanto fotografie, senza pagine scritte

Larry Claxton Flint Jr, editore di Hustler, morto il 10 febbraio scorso a 79 anni

Larry Claxton Flint Jr, editore di Hustler, morto il 10 febbraio scorso a 79 anni

Il pizzino può essere anche a luci rosse. Per evitarlo, quindi, niente riviste porno per un boss della ‘ndrangheta che sta scontando da 10 anni l’ergastolo a Rebibbia con tanto di 41 bis, il carcere duro. Lo ha deciso la Cassazione con una sentenza che farà giurisprudenza. Nel 2019 il malavitoso aveva chiesto alla direzione del penitenziario romano la possibilità di ricevere in cella – con un abbonamento a proprie spese – delle riviste per adulti. All’inizio ci fu un grande dibattito con il carcere che alla fine aveva accolto la richiesta a una condizione: per evitare che potessero giungere messaggi trasversali contenuti in lettere pubblicate nelle riviste, o in inserzioni pubblicitarie, era stato concesso che i giornaletti giungessero all’uomo, ma solo nella parte fotografica. Un controllo approfondito – una sorta di censura morale al contrario – avrebbe tagliato tutte le parti scritte e lasciato solo le immagini, anche quelle più hard. Guardare sì, dunque, leggere no. In fondo il contrario di chi in un paese ancora bigotto sosteneva decenni fa di acquistare Playboy "per leggere gli articoli" e nessuno, ovviamente, gli credeva. A settembre 2020, invece, nonostante il parere negativo della direzione di Rebibbia e del magistrato addetto alla valutazione dei detenuti, il tribunale di sorveglianza di Roma aveva permesso al boss di ricevere integrale la sua pubblicazione. Alla sentenza si era opposto il carcere attraverso il ministero della Giustizia.

La vicenda è così giunta sui banchi della Cassazione che ha escluso tout court la possibilità di avere in cella quanto richiesto. La motivazione "scientifica" riguarda l’ordine e la sicurezza pubblici: vietare ai detenuti sottoposti al carcere duro di ricevere riviste dall’esterno vuol dire evitare un pericolo di comunicazione, perché anche nei periodici per adulti "possono facilmente trovare posto messaggi, gratuiti o a pagamento, mirati a favorire comunicazioni criptiche e pericolose con gli esponenti di organizzazioni criminali".

In punta di diritto nessun dubbio, anche se la stessa Cassazione fa notare che "il tema della sessualità all’interno degli istituti penitenziari, intesa come possibilità accordata ai detenuti di continuare ad avere relazioni intime, evoca un’esigenza reale". Poi c’è anche il punto di vista sociale e psicologico della questione, ben evidenziato dagli alti magistrati di piazza Cavour. Sì, "il problema di vivere la propria sessualità in carcere esiste e bisogna porre delle regole". Però al caro boss a questo punto non resta che la nostalgia dei tempi passati in libertà. Per la Cassazione "una rivista o comunque qualsiasi materiale pornografico costituisce uno dei mezzi possibili per la soddisfazione del detenuto, ma non un presupposto imprescindibile". E quindi "impedire alla persona in carcere la possibilità di ricevere riviste per adulti non lede un suo diritto fondamentale". Meglio la fantasia.