Netflix perde abbonati, crollo in Borsa E apre alla pubblicità nelle serie tv

Duecentomila iscritti in meno, previste 2 milioni di disdette entro giugno. Senza spot il canone mensile costerà di più

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di Piero Degli Antoni

Netflex. La piattaforma di streaming più diffusa al mondo ha subito una pesantissima flessione alla Borsa di New York: le azioni, già calate del 40% nel 2022, hanno perso un ulteriore 25% nel dopo Borsa di Wall Street. Il motivo è semplice: Netflix ha smarrito abbonati – 200mila da gennaio – per la prima volta in dieci anni. Duecentomila è una stilla nell’otre gigantesco del portafoglio di clienti – 222 milioni in tutto il mondo – ma segna una pericolosa inversione di tendenza simile al saltatore con l’asta che, raggiunto l’apice della parabola, comincia a cadere. C’è addirittura chi prevede che, per il trimestre in corso, il calo di utenti potrebbe raggiungere i due milioni.

Per ora i numeri di bilancio restano positivi: i ricavi sono cresciuti del 10% a 7,8 miliardi di dollari con un utile di 1,6 miliardi. Ma, come sempre, la Borsa sconta non la realtà ma le aspettative: infatti gli investitori si aspettavano addirittura una crescita di abbonamenti fino a 2,5 milioni. La fine di un’epoca? Forse la fine di un monopolio. Parte delle perdite di abbonamenti (700mila) la stessa Netflix l’ha addebitata alla guerra in Ucraina, con relativa sospensione della fornitura ai clienti russi. Ma altri fattori hanno contribuito. Innanzitutto l’aumento del costo dell’abbonamento: a seconda delle varie formule, da 1 a 2 euro (in Italia 7,99 per il base con un solo apparecchio collegabile, 12,99 per lo standard, cioè due apparecchi in contemporanea, 17,99 per quattro), tra 2 e 3 dollari in America.

Tra Usa e Canada gli incrementi hanno già messo in fuga 640mila abbonati. Un’altra causa del declino è la condivisione delle password tra più persone. La società ora prevede di correre ai ripari imponendo un ulteriore dazio (dai 2 ai 3 dollari) per chi vuole condividere la visione con persone diverse dai familiari. Ma probabilmente è stata soprattutto la concorrenza a sottrarre risorse, a cominciare dal varo di Disney Plus (8,99 euro al mese o 89,99 all’anno), e alla conferma di Prime Video, un colosso che ha alle spalle l’immenso patrimonio di Amazon e che costa soltanto 36 euro all’anno (consegne gratis comprese). Netflix intende correre ai ripari il prima possibile, e l’idea che sta già circolando è di introdurre la pubblicità, una specie di sacrilegio. Chi è disposto a sorbirsi gli spot pagherà meno.

Il panorama dello streaming diventa sempre più frastagliato. Non solo le piattaforme si moltiplicano, ma anche gli abbonamenti. Prime Video per esempio propone 25 sotto-canali – tutti a pagamento extra da 4 a 10 euro al mese – per vedere film in prima visione, film di qualità, concerti, sport, cartoni giapponesi, programmi per bambini e altro. Il principio di marketing è molto semplice: ti attiro con un’offerta molto bassa, poi cerco di spremerti ben bene. Ryanair ha fatto scuola.