Nello spogliatoio tutti schiavi del cellulare. Lo sfogo di Mourinho: campioni senza gioia

Posta una foto dei giocatori del Tottenham dopo una vittoria: "Il segno dei tempi". Nessuno ormai riesce a staccarsi dai social

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Londra, 29 ottobre 2020 - Mica c’era bisogno venisse a dircelo (e a dimostrarcelo) José Mourinho, il celebre allenatore di calcio, l’eroe del Triplete dell’Inter dieci anni fa. Banalmente e semplicemente, da quando lo sviluppo della tecnologia ci ha persuasi di essere connessi con il resto del mondo, beh, invece non siamo stati così soli. Isolati in una bolla. E per una volta, almeno, non è colpa del Covid.

Dopo una partita vinta dalla squadra che allena attualmente, il Tottenham, il prode Mou ha messo in Rete la testimonianza del modo scelto dai suoi giocatori per festeggiare negli spogliatoi il successo appena conquistato sul campo contro il Burnley. Complimenti reciproci? Zero virgola zero. Cori? No. Pacche sulle spalle? Figurarsi. Applausi ritmati? Ma per carità: tutti attaccati ai cellulari, tutti intenti a sparare tweet, a scribacchiare su WhatsApp, a mettere ’mi piace’ su Facebook, a pubblicare una breve storia su Instagram. Ognuno per conto suo. Universi paralleli che nemmeno si sfiorano. Si gioca, si corre, ci si affanna insieme, d’accordo. Ma poi, ciao. "Dopo una grande vittoria, in una partita molto dura... è il segno dei tempi", scrive sconsolato lo Special One.

Ammettiamolo: a chi non è capitato? Quanti pranzi di famiglia sono stati scanditi dal ’beep’ di messaggi e notifiche in arrivo senza interruzione e senza pausa? Quanti dialoghi sono stati frantumati, spezzettati, disintegrati dalla presenza (si fa per dire) di invisibili interlocutori virtuali, distinti e distanti, remoti, lontani e però incombenti? Quante sofferenze psicologiche sono rimaste tali, perché tanto chi hai di fronte sta con la testa sui social, deve rispondere a una mail urgente, deve scaricare un video e bla bla bla?

Intendiamoci bene: José Mourinho ha scoperto l’acqua calda e peraltro lo sa perfettamente. Io e tanti altri colleghi abbiamo scritto i primi articoli sulla dipendenza dal cellulare più di dieci anni fa. Lo smartphone numero uno di Steve Jobs venne a cambiare le nostre esistenze e le nostre abitudini in maniera subdola e sublime al tempo stesso. Volevamo avere l’universo in tasca: ce lo abbiamo. Un giorno, forse, ci dispiacerà.

In breve. Indietro non si torna, ci mancherebbe. Ma ne valeva la pena, fino in fondo? Siamo padroni del nostro comunicare o ne siamo ostaggi? Siamo più liberi di una volta o siamo volontariamente prigionieri?

Temo che tra dieci anni dovrò aggiornare questo articolo.