Coronavirus, nelle zone rosse chiusi in casa solo i più giovani

Senza scuola, sport e bar

Adesso che si sta studiando l’ipotesi di fare di tutta l’Italia una zona rossa, è bene che teniamo a mente una cosa che ci è sfuggita: nelle zone rosse, gli unici italiani condannati agli arresti domiciliari sono i giovanissimi e i giovani, fascia d’età 12-25 anni o giù di lì. Non se ne parla quasi mai, ma è così. Riflettiamo. Nelle zone rosse, chiunque sta lavorando può uscire: le attività produttive sono tutte aperte, a differenza di marzo-aprile. Poi si può uscire a fare la spesa, e di solito non ci vanno i ragazzini. Poi si può uscire per motivi di salute. Poi possono uscire i bambini che vanno alle materne, alle elementari e in prima media. Dalla seconda media all’università, son tutti reclusi.

Non possono andare a scuola. Non possono fare sport. Non possono andare a trovare gli amici. A differenza dei coetanei delle zone gialle, non possono neanche andare al bar fino alle sei di sera. A pagina tre la nostra Viviana Ponchia ha intervistato Anita, una bambina torinese di 12 anni che si è ribellata, in un modo che più civile non si potrebbe, alla segregazione. Ogni mattina va davanti alla scuola, si siede sui gradini, accende il suo portatile e fa lezione online. Leggete che cosa dice. Dice che le mancano le facce, gli occhi, le mani degli altri. Le manca la fisicità, il contatto. Questo serva di lezione a tutti noi che crediamo che i nostri figli vogliano vivere stando sempre attaccati allo smartphone. Certo che stanno ore davanti allo smartphone. Ma forse anche perché noi non offriamo loro alternative di una realtà che non sia quella digitale. E quando loro sono costretti a vivere solo davanti a una tastiera, ne soffrono. Magari non tutti lo manifestano come Anita. Ma tutti covano dentro una sofferenza con la quale temo si dovranno fare i conti nei prossimi mesi e anni.

Nei giorni scorsi il presidente della Liguria, Giovanni Toti, ha detto che bisognerebbe pensare innanzitutto a proteggere gli anziani, che sono quelli che poi si ammalano più gravemente. L’ha detto male, nel senso che ha scritto sui social (lui o il suo staff) che tanto i vecchi sono fuori dal processo produttivo. E siccome l’ha detto male, nevroticamente si è scatenato un dibattito con anatema preventivo, e della questione non s’è più parlato. Ma se invece di soffermarsi sul modo si fosse fatta una riflessione sul contenuto, ci si sarebbe accorti che Toti ha sollevato un problema reale. È ovvio che non si tratta di chiudere in casa gli anziani. Ma di studiare tutta una serie di misure che proteggano soprattutto chi, se si becca il virus, finisce in ospedale. Della salute mentale (e dell’infelicità) dei giovanissimi, invece, non frega niente a nessuno. Forse perché tanto quelli non votano.