Giovedì 18 Aprile 2024

Nelle gaffe il cinismo da gentleman. Filippo ha avvicinato la Corona al popolo

Nato a Corfù, è diventato più inglese degli inglesi. Quegli scivoloni sui soldati mutilati e gli aborigeni

Il principe Filippo

Il principe Filippo

Settant’anni accanto al trono, e mai un’opinione. Espressa, perlomeno. Esattamente come doveva fare. Battute, casomai. Spesso infelici, casomai. O, più che infelici, dispettosamente fuori luogo. A rispecchiare lui. Un ribellismo da gentleman. Filippo di Mountbatten, duca d’Edimburgo, ci ha lasciati mentre era in vista dei cento anni, ed è rimasto in scena, si può dire, fino ai novantasette. Con totale devozione al ruolo: barcollante sotto berrettoni di pelo d’orso e sbarre di medaglie, quando affiancava Elisabetta in qualche cerimonia della Corona. Che cosa possa vivere in queste ore la regina, dopo quasi 74 anni di matrimonio, non lo sapremo mai. Mica è stato un amore da favola, certo. Lui era un gaudente, certo. Donnaiolo, certo. Abitudini che, visti i risultati, a quanto pare allungano la vita. Ma questo spilungone nato da un principe di Grecia di sangue danese, e da una madre di alta casata tedesca, aveva saputo diventare un britannico perfetto, nell’aspetto e nello stile.

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Costretto all’understatement, a rinunciare a dare il proprio cognome ai figli, a non parlare di politica, si era vendicato scegliendo di diventare più inglese del Big Ben: ha incarnato l’eleganza inglese fatta di accostamenti di colori impossibili che improvvisamente diventano perfetti. Proprio come lui. Per decenni, mani unite dietro alla schiena in una rilassata, cortese attenzione, ha ingaggiato con personalità di tutto il mondo conversazioni di squisita banalità sui fiori e l’architettura. Salvo d’improvviso produrre battute da incrinare le volte: più che scorrette ("Vi tirate ancora le frecce?", rivolto un capo aborigeno australiano) erano ciniche.

Un principe d'altri tempi

Fu agghiacciante l’uscita che ebbe incontrando alcuni giovani mutilati di guerra. A una madre che presentava il proprio figlio rimasto pressoché cieco per le schegge, Elisabetta domandò: "Quanto può vedere, il ragazzo?". E Filippo: "Non molto, a giudicare dalla cravatta". Intervistata poco dopo, la madre del soldato commentò: "È uno strano uomo, ma non è cattivo". Certo: l’eccentricità è un valore, oltre Manica. E tre generazioni di sudditi, abituati alla divisione in classi sociali, non solo hanno sempre perdonato a questo outsider che mostrava di considerare la diseguaglianza uno stato di natura, ma alla fine ci si sono in qualche modo rispecchiati.

Le classi superiori inglesi sono intrise di xenofobia e razzismo, ha sentenziato lo scrittore Anthony Loyd, e c’è del vero. Perché Filippo avrebbe dovuto fare eccezione? È stato testimone e fondale della scomparsa e rinascita del mito inglese: nel lunghissimo regno di Elisabetta ha visto – senza mai dare segno di una qualsiasi partecipazione – il suo Paese dare il benservito a Churchill, combattere i Mau Mau in Kenya, inventare la minigonna, rivoluzionare la musica, credersi James Bond; poi scioperare contro la Thatcher, entrare nella Ue, uscire dalla Ue, consegnare Hong Kong, smantellare Londra e rifarla hi-tech ma lasciandola per sempre Londra. Dicono che Filippo avesse un debole per Harry, il nipote diventato macchietta da rotocalco. Probabile. Aveva visto in lui qualcosa di sé: un fuori luogo. Rimasto al suo posto, a guardare il mondo con ironia, Filippo; trascinato in piazza il più debole Harry. Se la Corona inglese è diventata un’icona pop globale, fonte inesauribile di turismo, sorgente di musica – dai Sex Pistols ai Queen – e soggetto da cinema, l’apporto silenzioso di questo sarcastico gentiluomo non è stato trascurabile. Buon riposo, duca.