Nelle città dei massacri "A Kiev servono armi" I graffiti di TvBoy colorano Irpin e Bucha

L’artista italiano ha realizzato 15 opere nei luoghi simbolo della guerra "Ero nella capitale quando i russi l’hanno bombardata. Mi sono riparato in un rifugio, temevo di non completare il lavoro"

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di Michele

Mezzanzanica

Graffiti contro la guerra in un teatro di guerra, per andare oltre la guerra. Sono quelli realizzati negli scorsi giorni a Bucha, Irpin e Kiev dallo street artist italiano TvBoy (alias Salvatore Benintende, 42 anni, esponente del movimento NeoPop), in collaborazione con Cesvi, la fondazione umanitaria in prima linea nell’assistenza e aiuto al popolo ucraino. Quindici opere che parlano di speranza (Hope) e futuro (Future), opere che vedono protagonisti i bambini insieme ai classici simboli di pace come la colomba e i fiori. "È una dicotomia – dice l’artista – desiderare la pace e inviare armi, ma senza un sostegno anche militare questa gente verrebbe massacrata".

A Bucha, città martire di questo conflitto, cosa ha trovato?

"Distruzione. Penso che i russi, qui come a Irpin, lo abbiano fatto per vendetta: non essendo riusciti ad arrivare a Kiev, hanno raso al suolo queste città. Ci sono state esecuzioni sommarie, tutti abbiamo visto le immagini delle fosse comuni. Poi hanno distrutto scuole e ospedali, il teatro e lo stadio. Hanno voluto incutere terrore psicologico, cercato di azzerare ogni speranza di futuro e rinascita, concetti che ho invece voluto simboleggiare con le mie opere. Solitamente i miei lavori hanno un risvolto satirico, anche polemico, tuttavia in quest’occasione, in un contesto simile, non aveva senso: questa gente ha bisogno si solidarietà e speranza".

Come sono stati accolti i suoi lavori dalla popolazione?

"Sono stato ricevuto dal sindaco Anatoly Fedoruk che voleva visionare le immagini, per capire se in qualche modo potessero urtare la cittadinanza. Quando le ha viste mi ha detto: ‘Con queste opere non ho un posto da indicarti, tutta la città è tua’. Per me è stato un momento emotivamente molto significativo e mentre lavoravo ho avuto modo di toccare con mano l’orgoglio e la generosità del popolo ucraino. Persone a cui è rimasto poco o nulla e quel poco lo condividono. Un’anziana signora mi ha portato un cioccolatino, un astuccio per le mie matite e un asciugamano per ripararmi dal freddo".

Come scorre la vita in questa città dopo l’occupazione russa? Quali sentimenti caratterizzano gli abitanti?

"Gli abitanti sono essenzialmente donne, bambini e qualche anziano; uomini pochi e quasi tutti in divisa militare. La città è povera, spesso manca anche l’elettricità e infatti Cesvi ha allestito 11 ‘heating point’, container con riscaldamento e pasti caldi. La parola resilienza oggi è abusata, però mi ha colpito come gli ucraini abbiano saputo accettare questa nuova realtà e adattarsi ad essa. I bambini giocano a calcio nello stadio spaccato a metà dalle bombe, a nascondino tra i ruderi della città. Gli street artist che ho incontrato non fanno più graffiti, ci sono altre priorità, ma si sono messi a disposizione per colorare fucili e carri armati, aiutando a mimetizzarli. Sono tutte persone che chiedono essenzialmente solidarietà, che guardano all’Europa con speranza perché vedono il loro futuro da cittadini europei".

Solidarietà significa anche inviare armi? Cosa pensa di questa decisione che divide l’opinione pubblica in Europa?

"Premesso che non sono un esperto di politica internazionale, trovo egoista il discorso del ‘sono affari loro’, quindi le armi dobbiamo darle, anche perché la sproporzione delle forze in campo è enorme. Non aiutarli anche militarmente significherebbe lasciarli morire, dobbiamo fornire armi difensive".

Come è nato questo progetto di street art nell’Ucraina in guerra?

"Questo conflitto mi ha toccato fin dall’inizio, avevo subito realizzato vari lavori tra l’Italia e Barcellona, dove vivo. Però è diverso lavorare in una città sicura rispetto a un Paese in guerra, così quando Cesvi mi ha proposto questo progetto, l’ho considerato un segno del destino. Volevo portare la mia arte in Ucraina e Cesvi mi ha permesso di farlo in sicurezza, per quanto questo termine sia assolutamente relativo in una zona di guerra. La situazione è sempre mutevole".

Ha corso particolari rischi?

"Ci trovavamo a Kiev quando è stata bombardata, giovedì scorso, abbiamo dovuto ripararci nel rifugio antiaereo per tutta la mattinata. Temevano di non riuscire a portare a termine il progetto, poi fortunatamente siamo potuti uscire. Sono esperienze che ti segnano, soprattutto pensando a chi sta fuori, mentre tu sei relativamente al sicuro, nel bunker dell’hotel centrale di Kiev".

Ha qualche altro progetto in cantiere legato alla guerra in Ucraina?

"Vorrei pubblicare un cortometraggio con le immagini che abbiamo girato in questi giorni, per raccontare anche in video la nostra esperienza. Inoltre, sono in contatto con diversi artisti locali e in particolare con una persona che vorrebbe organizzare una grande mostra i cui proventi saranno devoluti in beneficenza. Mi piacerebbe ovviamente tornare in Ucraina quando la guerra sarà finita: spero di non dover aspettare molto, anche se purtroppo non vedo la fine del conflitto dietro l’angolo".