Venerdì 19 Aprile 2024

"Negoziati di facciata, parlano le armi Putin tratterà quando sarà al limite"

L’ex ambasciatore Massolo: promettere che Kiev resterà fuori dalla Nato è una sconfitta per l’Occidente

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di Alessandro Farruggia

"Non è ancora il tempo del negoziato. Vorrei davvero molto che lo fosse, ma il mio timore è che lo spazio sarà ancora dato alle armi, prima di arrivare a un cessate il fuoco. Sarà l’andamento sul campo, dal quale la diplomazia non può prescindere, a delineare la fine di questa crisi. I tempi devono produrre nella Russia la sensazione di non poter andare avanti oltre senza conseguenze pesantissime e, da parte ucraina, la convinzione di aver retto il reggibile, ma di essere arrivati al limite. Purtroppo credo che siamo ancora lontani". Così l’ambasciatore Giampiero Massolo, presidente dell’Ispi, ex segretario generale della Farnesina e, dal 2012 al 2016 direttore del Dis, il dipartimento informazioni per la sicurezza di Palazzo Chigi che coordina gli 007 italiani.

Il Cremlino pone le sue condizioni alla fine della guerra, l’Ucraina rilancia. Siamo arrivati al punto che una trattativa può cominciare?

"Anche no. A me pare che la Russia ancora abbia la sensazione di poter controllare l’Ucraina, di non essersi impantanata nonostante gli scarsi progressi sul terreno e di pensare di poter impiegare ancora un rilevante potenziale bellico per raggiungere i suoi obiettivi. Per questo avanza richieste che assomigliano molto di più una domanda di resa che a una piattaforma negoziale sulla quale si è disponibili a uno scambio. Allo stato attuale, no, non mi sembra che la Russia faccia una proposta che si aspetta che venga accolta".

Quindi un riconoscimento dell’annessione della Crimea, dell’indipendenza del Donbass e una rinuncia dell’Ucraina a richiedere l’adesione alla Nato sarebbe una sconfitta per Kiev?

"Sarebbe una sconfitta non solo per Kiev, ma per tutto l’Occidente. Putin vuole essenzialmente ridisegnare gli equilibri di sicurezza in Europa. Vuole il riconoscimento delle prepotenze passate, cioè Crimea e Donbass, e vuole imporre una scelta condizionante nelle scelte di campo del governo di Kiev, sminuendone la sovranità. Questo comporterebbe un salto indietro nella storia con il ritorno alle zone di influenza in Europa, una contrapposizione basata sulla sovranità limitata dei Paesi confinanti e il ritorno a una ‘Grande Russia’".

Quale sarebbe una base di compromesso accettabile?

"Io credo che gli elementi di una trattativa futura si vedranno solo da quel che che accadrà sul campo. Gli ucraini hanno dato sinora la disponibilità a parlare della loro neutralità, senza precludersi però la prospettiva europea, su modello dell’Austria. Poi bisognerà prendere atto che nel Donbass e in Crimea la situazione è cambiata, non è più quella pre 2014, e che bisognerà ad esempio ottenere per i cittadini non russi una serie di garanzie. Tutto questo non potrà non prescindere da una più ampia garanzia internazionale. Ma qui siamo molto avanti nel tempo, perché per arrivare a questi risultati ci sarà parecchia strada da fare".

Un eventuale riconoscimento dell’occupazione della Crimea e del Donbass è quindi possibile, ma può diventare accettabile solo al termine di un lungo processo negoziale?

"Io non parlerei di riconoscimento, ma di una presa d’atto. Ma dipende dall’assetto complessivo: per arrivare a capire i confini del negoziato bisognerà vedere cosa accadrà sul terreno. In ogni caso, sta agli ucraini decidere del loro futuro. A un popolo che combatte per la propria libertà, l’Occidente non può imporre una soluzione pur di far finire la guerra. Noi abbiamo solo il dovere di aiutarli. Credo che ragionare di una neutralità che non escluda un ingresso dell’Ucraina nella Ue sarebbe però positivo".

Che si può fare adesso?

"Quel che si può fare adesso è arrivare alla creazione di corridoi umanitari e poi a un cessate il fuoco. Non c’è uno spazio per una vera mediazione ma per, come si dice in diplomazia, ‘esercitare i buoni uffici’. Questo tentano di fare il premier israeliano, il presidente turco, quello francese e il cancelliere tedesco. La stessa Cina. Il negoziato è ancora da venire".

Quindi sarà ancora guerra.

"Temo proprio di sì".