Negazionisti sottili, inattivisti, mercanti di dubbi: le nuove bufale sul clima

Intervista a Stefano Caserini, docente universitario e storico "debunker" di fake news climatiche: "L'obiettivo è convicere che vi sia ancora incertezza, per rallentare l'azione di mitigazione"

Un elicottero sorvola il punto del crollo sulla Marmolada (Ansa)

Un elicottero sorvola il punto del crollo sulla Marmolada (Ansa)

"I mercanti di dubbi hanno rallentato nel grande pubblico la consapevolezza dei cambiamenti climatici, riuscendo a guadagnare qualche anno e ritardare le politiche di mitigazione dei gas serra. E la nuova frontiera dei mercanti di dubbi è quella degli inattivisti, che più sottilmente non negano il problema ma spingono a procrastinare le scelte, sostenendo che non possiamo permettercele ora". Così l’ingegner Stefano Caserini, che con il suo blog scientifico "Climalteranti" da anni denuncia le bufale di chi nega l’evidenza dei fatti, e cioè nega il ruolo decisivo delle attività umane nel riscaldamento globale. Caserini, che è docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano è stato anche tra i fondatori di Italian Climate Network.

Stefano Caserini
Stefano Caserini

Bufale climatiche finanziate per ritardare l'azione contro il riscaldamento globale

Ingegner Caserini, quanto successo sulla Marmolada ha riacceso l’attenzione sul tema dei cambiamenti climatici. Perché le azioni ancora non sono all’altezza di quanto richiesto? "Il primo fattore è che un tema molto più complesso di quello che si pensava ed è stato quindi sottovalutato, come se fosse solo un problema ambientale, come le piogge acide o l’inquinamento dei fiumi, o l’ozono. In realtà è qualcosa di ben più vasto, con grandi implicazioni socioeconomiche. E poi c’è il fatto che i cambiamenti climatici richiedono di mettere in discussione l’intero sistema energetico. E questo ha determinato resistenze di tipo poltico-economico, molto grandi. A questo si aggiunga il fatto che cambiare le abitudini richiede un cambiamento da parte di tutti e sappiamo quanto gli esseri umani sono restii a farlo. Gli sviluppi della ricerca ci hanno poi mostrato che era necessario non superare i due gradi di riscaldamento e se possibile rimanere nel grado e mezzo, e questo ci dava molto meno tempo di quanto pensavamo di avere quando 20-25 anni fa, si considerava che probabilmente erano accettabili anche i due gradi e mezzo-tre gradi".  

Il processo è complesso, e la sua vischiosità è incoraggiata da forze che non vogliono il cambiamento? "Ci sono interessi consolidati che per difendere i loro interessi remano contro, come è stato ampiamente dimostrato. Abbiamo visto documenti interni di Exxon Mobile che mostrano come quella società, e non solo quella, fosse perfettamente a conoscenza del rischio e lo usasse per politiche interne mentre all’esterno finanziava le campagne di disinformazione. Cose che, peraltro non si sono viste solo nel cambiamento climatico. I mercanti di dubbi hanno usato queste tecniche anche sul tabacco, sui pesticidi e altri temi. Una parte del mondo industriale direttamente interessato ha cercato di ritardare l’applicazione di regole incisive sulla mitigazione delle emissioni. E in buona parte è riuscito nel suo intento".  

La tecnica è quella di instillare il dubbio? "Certo. Negli ultimi anni quelli che dicono che non è vero che il clima sta cambiando sono quasi scomparsi. I cosiddetti negazionisti 2.0 si concentrano invece nel mettere in dubbio la percentuale di responsabilità umana. La scienza, va detto, è quasi compatta, a parte qualche caso umano, nel confutare chi instilla dubbi del genere e nel ribadire la necessità di intervenire per mitigare le emissioni. I mercanti di dubbi tuttavia hanno una loro audience che li rilancia nei social dando l’impressione di un consenso maggiore di quello che hanno".  

Quale è il vero pericolo oggi? "Le lobby delle energie fossili, specie negli Stati Uniti, finanziano ancora i think tank negazionisti. Ma c’è un cambiamento nelle tecniche e nel linguaggio. Il climatologo Michael Mann, nel suo “La nuova guerra del clima”, da poco pubblicato da Edizioni Ambiente, di cui ho curato l’edizione italiana, parla di quelli che definisce 'inattivisti', quelli che dicono sì, il cambiamento climatico c’è, però c’è la crisi economica, c’è il Covid, c’è la guerra: dobbiamo posticipare l’azione sul clima. O quelli che dicono: l’Europa conta il 10% delle emissioni, la nostra azione è irrilevante. Il ministro dell’ambiente Cingolani non nega certo la scienza del clima, però poi si muove sempre per sottolineare i costi sociali dela transizione energetica e per difendere l’interesse di questo, di quello, la tutela dell’occupazione e dell’industria nazionale".  

Che tipo di efficacia hanno questi messaggi mandati sui media e sui social? "Piuttosto alto. Ed è anche comprensibile. Molti fanno fatica ad accettare la gravità delle situazione climatica. Molti si rifugiano nella negazione perché per loro è inaccettabile vedere la gravità della situazione e avere la percezione di non potere fare niente. Moti vedono la catastrofe ma anche che la politica non se ne sta occupando abbastanza. Una parte di loro reagisce chiedendo più azione, una parte usa un meccanismo invece di difesa per non star male: negare l’evidenza".  

Eventi come quello della Marmolada producono un qualche effetto sul pubblico in termini di comprensione del problema e di motivazione? "Da quanto ci dicono i sondaggi la maggioranza della popolazione italiana ha già capito bene quale sia il problema. Le persone hanno sensazione che il clima è già cambiato. Però c’è una parte del mondo politico che magari non nega la scienza del clima ma si comporta da inattivista, cercando di ritardare il più possibile le politiche climatiche. E questo è il problema, l’azione degli inattivisti, negazionisti sottili. Già il processo è vischioso di per sé, così si fa ancora più fatica".