Giovedì 18 Aprile 2024

Nascite in Italia al minimo storico nel 2022, una famiglia su 4 a rischio povertà

L’anno scorso i nuovi nati sono scesi sotto quota 400mila. Le regioni più amiche delle mamme: la Provincia autonoma di Bolzano, Emilia Romagna e Valle d’Aosta

In Italia l'età media partorienti è di 32 anni, secondo il rapporto di Save the Children (Ansa)

In Italia l'età media partorienti è di 32 anni, secondo il rapporto di Save the Children (Ansa)

Roma, 10 maggio 2023 – Record minimo di nascite in Italia nel 2022: i nuovi nati, per la prima volta, sono scesi sotto quota quattrocentomila, 392.598 per l'esattezza. La riduzione riguarda soprattutto i nati all'interno del matrimonio e i primi figli, ma si è registrata anche nei nati da entrambi i genitori stranieri. Allo stesso tempo è aumentata l'età media delle donne al parto: 32 anni, tra le più alte d'Europa. Questi e altri dati sono contenuti nell'ottava edizione del rapporto 'Le Equilibriste' di Save The Children, da cui emerge anche che tra le regioni più 'amiche' delle mamme svetta la Provincia autonoma di Bolzano, seguita da Emilia Romagna e Valle D'Aosta, mentre le condizioni più sfavorevoli si registrano in Basilicata, preceduta appena in fondo alla classifica da Sicilia e Campania.

Il calo delle nascite

Il calo delle nascite del 2022 è stato dell'1,9%, frutto di un andamento non costante nel corso dei mesi. A fine 2021 si intravedeva un recupero rispetto all'anno precedente, confermato nei primi mesi del 2022: gennaio, ad esempio, registrava una crescita delle nascite del 3,4% rispetto allo stesso mese dell'anno precedente. Durante i mesi primaverili, però, si è registrata una diminuzione repentina (-10%). I dati più completi in merito alle nascite si hanno per il 2021, quando le registrazioni all'anagrafe sono state 400.2495. Sono in particolare le nascite da genitori entrambi italiani a essere diminuite negli ultimi anni: 166 mila in meno rispetto al 2008, anno che precede l'inizio della Grande Recessione economica.

A decrescere, poi, sono specialmente le nascite all'interno del matrimonio, 223mila in meno nel confronto con il 2008 (-48,2%), e quasi 20 mila in meno rispetto al 2020. Nel 2021 i nati al di fuori del matrimonio sono stati il 40% del totale delle nuove nascite, con un aumento di 47mila registrazioni rispetto al 2008. Mentre all'inizio del millennio la contrazione riguardava soprattutto il calo dei secondi figli e quelli di ordine superiore, oggi l'abbassamento si manifesta con una minor presenza di primi figli. I primi figli nati nel 2021 sono il 34,5% in meno di quelli che nascevano nel 2008. L’Istat stima che tra le donne nate negli anni '80, quindi vicine alla fine della loro fase riproduttiva, ben un quarto siano senza figli, e poco più della metà (51,3%) ne abbiano avuti due o più, mentre una su quattro ne ha solo uno.

Una famiglia su quattro a rischio povertà

Da segnalare poi che il 12,1% delle famiglie con minori in Italia (762mila famiglie) sono in condizione di povertà assoluta, e una coppia con figli su 4 è a rischio povertà. Le famiglie in povertà assoluta sono il 22,6% tra le famiglie con cinque o più componenti, l'11,6% tra quelle con quattro, mentre cala al 7,1% per le famiglie con tre componenti e si ferma al 5% per quelle con due. Se in casa c'è un solo minorenne la povertà assoluta ha un'incidenza dell'8,1%, se i minori sono tre o più, il tasso arriva al 22,8%. Un quinto delle coppie con tre o più figli è in stato di povertà assoluta, mentre l'incidenza è del 6% per le coppie con un figlio minore, 11,1% per quelle con due figli minori. L'incidenza della povertà varia anche a seconda della zona geografica se ci sono minori, e in generale colpisce 1 milione e 382mila bambini.

Un gruppo che merita attenzione sono le famiglie monogenitoriali, che in un terzo dei casi erano nel 2021 a rischio di povertà ed esclusione. Le famiglie monogenitoriali sono aumentate nel tempo da meno di 1,8 milioni nel 2000 a circa 2,9 milioni nel 2021, il 17% del numero totale di nuclei famigliari, e nell'80% dei casi sono composte da madri single . Secondo uno studio comparato, si stima che in Italia le madri single siano per il 44% in condizione di povertà, e questa ancora una volta cresce al variare del livello di istruzione. Le madri single sono equamente distribuite tra i livelli di istruzione, ma la povertà è diffusa al 65% in caso di basso livello di istruzione, 37% se il livello di istruzione è medio, 13% tra le madri single altamente istruite. Queste madri sono spesso doppiamente svantaggiate nel mercato del lavoro, in quanto la loro situazione occupazionale è limitata non solo dalla loro bassa istruzione, ma anche dalle difficoltà di combinare il lavoro retribuito con le responsabilità familiari

Le regioni amiche delle mamme

Il rapporto include anche l''Indice delle Madri', elaborato dall'Istat una classifica delle Regioni italiane stilata in base alle condizioni più o meno favorevoli per le mamme. Tra le regioni più ''amiche delle mamme'', spiccano ai primi posti la Provincia Autonoma di Bolzano (118,8), l'Emilia-Romagna (112,1) e la Valle d'Aosta (110,3). Tutte e tre superano di ben 10 punti il valore di riferimento nazionale di 100, seguite da Toscana (108,7), Provincia Autonoma di Trento (105,9), Umbria (104,4), Friuli-Venezia Giulia e Lombardia (entrambe 104,2), che invece lo superano di poco. Fanalino di coda le regioni Basilicata (84,3), Campania (87,7), Sicilia (88,7), Calabria (90) e Puglia (90,6), che occupano rispettivamente dalla 21ma posizione alla 17ma e sono sotto il valore di riferimento di almeno 10 punti, scontando una strutturale carenza di servizi e lavoro nei propri territori, a testimonianza di un investimento strategico da realizzare proprio in queste regioni.

Da annotare, infine, che nel 2022, pur segnando una leggera decrescita, il divario lavorativo tra uomini e donne si è attestato al 17,5%, ma è ben più ampio in presenza di bambini. Nella fascia di età 25-54 anni se c'è un figlio minore, il tasso di occupazione per le mamme si ferma al 63%, contro il 90,4% di quello dei papà, e con due figli minori scende fino al 56,1%, mentre i padri che lavorano sono ancora di più (90,8%), con un divario che sale a 34 punti percentuali.