Messner: "Impresa folle, no all’alpinismo eroico"

Il grande alpinista commenta la morte di Daniele Nardi e Tom Ballard sul Nanga Parbat. Lui ha perso il fratello sulla stessa parete: "Recuperai i resti 35 anni dopo"

Reinhold Messner  (Ansa)

Reinhold Messner (Ansa)

Roma, 10 marzo 2019 - Reinhold Messner ha cercato per 35 anni la salma di suo fratello Guenther, deceduto su quella stessa parete del Nanga Parbat. Quando, su Twitter, è apparso ieri l’annuncio dell’ambasciatore italiano in Pakistan che dava notizia della morte dei due alpinisti dispersi, Daniele Nardi e Tom Ballard, sottolineando la fine delle ricerche (i due corpi resteranno a circa 6.000 metri d’altezza forse per sempre), è venuto spontaneo pensare al lutto vissuto dal ‘re degli Ottomila’. Messner è l’unica persona a essere scesa dallo stesso versante.

Messner, le salme dei due ragazzi sembrano destinate a restare sullo sperone Mummery. È possibile recuperarle?

"In questo momento non è saggio salire lassù: una slavina improvvisa può travolgere anche un elicottero. Più avanti in primavera o in estate credo che, con l’aiuto di uno specialista elicotterista ci si possa avvicinare alla parete abbastanza affinché si possano recuperare".

Dunque, lasciarle là non è una decisione sbagliata.

"Al momento no. Poi, non so se in Pakistan abbiano i mezzi adeguati per un recupero del genere, in Europa e in Val Gardena ci sono". 

Suo fratello Gunther è morto sul Nanga Parbat, ma il corpo è stato recuperato 35 anni dopo. Cosa l’ha spinta a fare di tutto per dargli degna sepoltura?

"La prima cosa, per chi ha perso delle persone care, è sapere dove e come siano morte. Il lutto può iniziare solo quando si hanno quelle informazioni, e magari dopo una degna sepoltura. Il ritrovamento di mio fratello Guenther è avvenuto 35 anni dopo (nel 2005, più in basso sulla parete Diamir, a 4.600 metri, ndr). L’anno successivo invitai tutta la famiglia sul posto, perché ne avessero esperienza diretta, per restituire loro l’emozione della perdita. L’uomo è fatto per seppellire i propri morti, lo facciamo da 50mila anni".

Quindi i corpi potrebbero essere recuperati tra decenni...

"No, perché il ghiacciaio si muove, scende e sprofonda, quindi non credo si possa aspettare troppo, direi al massimo un anno". 

Il Nanga Parbat ha reclamato altre due vite umane, si conferma una vetta difficile e pericolosa...

"Attenzione: l’alpinista esperto affronta le difficoltà e ha la capacità di superarle; lo stesso sa vedere i pericoli e, una volta individuati, li aggira. Tre anni fa parlai con Nardi, era un ragazzo simpatico. Gli avevo detto che non era saggio scalare da quel lato: se viene una valanga non hai chance, è come mettere la testa sotto una ghigliottina. Noi scendemmo da lì per necessità e disperazione, ma eravamo esposti alle slavine, senza via di fuga. Si staccano enormi seracchi (blocchi di ghiaccio, ndr), è insidiosissimo". 

In una lettera postuma, Nardi scrive: ‘Mi piacerebbe essere ricordato come un ragazzo che ha provato a fare una cosa incredibile, impossibile, che però non si è arreso...’.

"Mi dispiace molto per questi due ragazzi e per i loro parenti. Ma mi sembra un pensiero da alpinismo eroico degli anni ‘20-‘30. L’alpinismo è un modo di misurarsi con se stessi, non con la montagna, il fallimento deve essere messo in conto, lo scalatore deve capire i propri limiti, dove può andare e dove, invece, deve restare alla larga. Tornare vivo è la priorità. Mi accaloro perché questa mentalità eroica può solo fare male a quanti si approcciano a queste imprese".