Mustafa e quella foto simbolo "Italia, ci hai cambiato la vita"

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di Claudio Capanni

"Grazie Italia, abbiamo chiesto aiuto a lungo, siete stato l’unico Paese a risponderci". Munzir El Nazzel ha 33 anni e lo sguardo di chi ne ha viste già tante. Per la guerra in Siria che gli ha mangiato una gamba, provando a divorargli pure il figlio Mustafa, nato senza gli arti a causa del gas nervino inalato dalla moglie in gravidanza. Per le rughe che gli stracciano la fronte mentre sforna un sorriso gentile e dice grazie, con l’interprete incollata fra lui e la moglie Zeynep, 25 anni, che ha sposato 11 anni fa. "Sentiamo – sorride lei – la gentilezza e la bontà del vostro popolo. Vi ringraziamo per le cure che potrete offrire a nostro figlio". Sopra le loro teste c’è il crocifisso della chiesetta del centro Caritas di Arbia, frazione di Asciano, dove da 15 giorni vivono dopo il trasferimento dalla Turchia. È qui che l’arcivescovo Augusto Paolo Lojudice ha organizzato ieri la prima uscita ’ufficiale’ della famiglia dopo la quarantena. "È stato un Paese cristiano ad aiutarci e questo non lo dimenticheremo mai". Con loro c’è Mustafa, 6 anni e l’energia della dinamite. Tra le braccia di Munzir, prova a contare i giornalisti assiepati. "Ciao Italia, siete tanti" se la ride. "Voglio le gambe, andare a scuola con gli altri bambini e guidare una macchina". E quando Munzir gli domanda cosa gli piaccia dell’Italia, gli spuntano le fossette. "I dolci sono buonissimi". Poi l’ultima parola: "Dio è grande, grazie Italia". Quel sorriso, impermeabile all’orrore, ha stregato un anno e mezzo fa il turco Memhet Aslan, veterinario nella vita, fotografo per passione. Lo scorse in un rifugio per profughi siriani in Turchia. E immortalò Munzir e Mustafa mentre giocano. Lo scatto intitolato ’Hardship of life’, ha vinto il premio assoluto del Siena International Photo Award. "Quella foto ha cambiato la nostra vita. Il mondo ha sentito la nostra voce". Ma la famiglia parla anche del passato prima della fuga da Idlib in Siria, dove vivevano. Lì una bomba esplose nella loro vita, erano in un bazar. "Mi ero iscritto all’università, volevo studiare legge per contestare la guerra civile in Siria". Poi l’esplosione. Dopo un anno e mezzo la foto di Aslan, ha dato vita alla raccolta su Gofundme che li ha portati in Italia. Tra 15 giorni la famiglia partirà per il centro protesi di Budrio dove inizieranno il percorso per le cure. "Sarà un cammino lungo. Mustafa – dice l’arcivescovo Lojudice – può essere l’emblema di una battaglia contro la guerra. A lui chiedo di essere il simbolo di questo cammino".