Musk e lo scandalo Biden jr "Twitter insabbiò tutto"

Prima delle elezioni del 2020 la piattaforma oscurò le notizie del NY Post. Nel mirino le email del figlio del presidente. Dietro c’erano sospetti di frode fiscale

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di Giampaolo Pioli

Prima c’era Trump a dominare le prime pagine dei tabloid adesso c’è Elon Musk che non sa tenere a bada il suo debordante narcisismo. Anche a costo di diventare il paladino della trasparenza. L’osservazione potrebbe essere riassunta cosi: in un momento cruciale per le Presidenziali del 2020, Twitter ha cercato di coprire le rivelazioni legate a Hunter Biden figlio del presidente Usa, bloccando il sito del New York Post classificato come “Non sicuro”, impedendo la proliferazione dello scandalo legato al candidato democratico che sfidava Trump. Le rivelazioni vengono da un noto giornalista, Mark Taibbi, passato come idee dalla sinistra alla destra, proclamandosi indipendente, e sempre usando Twitter sostiene che di fatto la società, "piena di impiegati progressisti e di sinistra", avrebbe di fatto voluto favorire la corsa di Biden, con la censura.

L’operazione è legata a un computer appartenuto a Hunter Biden, intercettato quando era in riparazione. L’Fbi ne ha preso visione e ha ammesso che Hunter è sotto inchiesta, non rivelando però rivelato la motivazione, anche se molti propendono per una frode fiscale.

Il New York Post che al tempo venne marginalizzato con la sua campagna anti-Biden, anche se adesso non appoggia più Trump, si sente leso nella sua integrità giornalistica e non intende lasciar correre perché i fatti raccontati sarebbero stati veri fin dall’inizio e non dovevano esser taciuti al grande pubblico della rete attraverso i controllori di Twitter.

Per questo adesso Musk vuole rivelare i dossier rimasti nascosti e costruirsi una reputazione di difensore della liberta di espressione.

Viene insinuato un possibile aiuto diretto di Biden come procacciatore di contratti per il figlio, ex drogato, incompetente e pittore in erba, sfruttando la sua autorità in quanto al momento dei fatti era vice presidente degli Stati Uniti.

La storia del computer dai contenuti esplosivi abbandonato in un negozio di riparazioni, che il titolare trova normalissimo consegnare al mastino Rudy Giuliani e non alla polizia o all’FBI, è contorta fino all’incredibile. Ma non per questo è escluso che contenga una base di verità.