Mps-Unicredit è già un caso politico "Evitare gli esuberi non necessari"

L’operazione irrompe in campagna elettorale. E il Monte viene bocciato nei test europei sulla tenuta in caso di crisi

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di Pino Di Blasio

Andrea Orcel avrebbe voluto brindare per l’utile semestrale di Unicredit, che è salito a 1,92 miliardi di euro, e poi annunciare l’apertura della trattativa con il ministero dell’Economia per l’operazione Monte dei Paschi. Ma il governo aveva fretta: doveva assorbire il risultato degli stress test dell’Eba sulle 50 banche europee sotto esame. E, come ampiamente previsto, il Monte dei Paschi ha avuto la pagella peggiore: in caso di scenario avverso, nel 2023 l’indice patrimoniale di Mps sarà addirittura negativo (-0,1%), accumulerebbe perdite per 2,73 miliardi di euro e vedrebbe il suo Cet1 scendere dai circa 6 miliardi del 2020 a 173 milioni nel 2023. Oltre che puntare a ’depotenziare’ il dossier in vista della campagna elettorale per le suppletive nel collegio di Siena, che vedono candidato il segretario del Pd Enrico Letta, contro l’imprenditore vinicolo del centrodestra Tommaso Marrocchesi Marzi.

Ma ormai il dado è tratto. "Il Monte è la migliore opzione e l’unica sul tavolo" ha ribadito ieri Orcel agli analisti. Anche per provare a silenziare i boatos sui potenziali accordi con altre banche, a partire da Banco Bpm. La due diligence sul Monte dei Paschi, l’ingresso nella virtual data room, devono ancora cominciare, così come bisogna scegliere gli ’sherpa’ dell’operazione. Ma l’idea di Unicredit è chiudere l’esame entro settembre, per capire se si potrà andare avanti con l’operazione di ’merger and acquisition’.

"Nell’ambito della due diligence sul Monte eviteremo gli esuberi non necessari – ha aggiunto l’ad di Unicredit – altra variabile chiave nella selezione del perimetro. L’accordo con il governo ruota sulla neutralità in termini di capitale, sull’accrescimento significativo dell’utile per azione, sulla protezione dai contenziosi legali e l’esclusione dei crediti deteriorati da qualsiasi transazione".

Dal ministero dell’Economia, detentore del 64% delle quote di Mps, le linee guida sono ’convergenze parallele’, per usare il paradosso caro a Moro. Tolti i rischi legali, notevolmente ridotti dopo l’accordo da 150 milioni tra Banca Mps e Fondazione, che ha ridotto di 3,8 miliardi di euro la ipotetica montagna di danni da pagare, e accantonati i crediti deteriorati, il Tesoro tratterà con Unicredit per delimitare il perimetro delle attività da cedere. Il marchio Mps resterà, almeno questa è l’intenzione sia del Governo che del potenziale acquirente.

Orcel ha già annunciato che vorrebbe valorizzare il brand della banca più antica del mondo. Così come è prematuro parlare di 6-7mila dipendenti in esubero, contando sul fatto che una parte dell’organico della direzione generale di Siena potrebbe rientrare nelle attività commerciali.

Sarà la trattativa che sta per cominciare e che tra 40 giorni dovrebbe sciogliere diversi nodi, a delineare il futuro del Monte dei Paschi e di quanta parte della Rocca finirà "in pancia" a Unicredit. Se al Tesoro il prezzo in termini di esuberi, costi sociali e fiscali, non sarà considerato giusto, l’affare non si farà. Ma è presto per disegnare bad bank, cessioni di sportelli nel sud Italia al MedioCredito Centrale o ad altri istituti, ammontare degli sconti fiscali (che dovrebbero aggirarsi sui 2,5 miliardi) e altri passaggi, legati anche alla futura forma societaria.

La mossa di Unicredit ha già provocato i primi terremoti politici. Il più diretto è stato il leader della Lega Matteo Salvini che dal Papeete, in un’intervista a La Nazione, ha tuonato: "Pensare che venga spenta la luce a una banca che ha 550 anni di vita, che si mandino a casa 6-7mila dipendenti, che si spendano 6 miliardi di soldi pubblici per regalare il Monte a Unicredit, non può essere deciso con blitz agostani. Chiederò a Draghi di prendere più tempo con l’Europa, un’alternativa c’è. Ed è quella che il Monte diventi il polo di banche del territorio, che comprenda anche Carige e Popolare di Bari".

Per il Pd, dopo la nota di Antonio Misiani, responsabile economico della segreteria, e Simona Bonafè, segretaria del partito in Toscana, che hanno chiesto un dibattito in Parlamento sul dossier Mps, ha parlato anche Enrico Letta, candidato alla Camera per il collegio di Siena: "Quella di Mps è una situazione molto complessa che deve essere affrontata dalle istituzioni e dai partiti con serietà e non con vuoti proclami. Il Pd, e io personalmente che del Partito sono segretario e che mi candido a rappresentare questo territorio in Parlamento con il massimo dell’impegno, si adopererà col governo su tre grandi priorità: tutela del lavoro, salvaguardia del marchio, unità del gruppo".