Venerdì 19 Aprile 2024

Mozambico, l’Isis vicino ai giacimenti Eni Armi e Islam per controllare rubini e gas

Dal 2017 nel Capo Delgado 2.600 morti e 900mila sfollati. Sotto scacco la città di Palma: nell’area marina lavora la società italiana

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di Nicoletta Magnoni

Un altro virus serpeggia nel mondo, si riproduce in varianti e uccide come il Covid. È l’Isis, bandiera di morte che credevamo ammainata, concentrati come siamo sulla pandemia. E invece: coperti dalla disattenzione mediatica, gli jihadisti stanno avanzando in Africa. L’ultima battaglia è di pochi giorni fa, combattuta fra le strade della città di Palma, 75mila abitanti, nel nord del Mozambico. Tutt’intorno, nella provincia di Capo Delgado, sotto i campi di combattimento abbondano materie prime in quantità tali da ridisegnare i mercati mondiali. Brilla un vasto giacimento di rubini che muove l’80 per cento del commercio globale. E i giganteschi giacimenti di gas naturale, scoperti nel 2010, potrebbero fare del Mozambico il secondo produttore del pianeta dopo il Qatar. Un Eldorado.

L’italiana Eni, la statunitense ExxonMobil e la francese Total si sono aggiudicate due aree di esplorazione che, complessivamente, valgono investimenti tra i 40 e i 60 miliardi di euro. Anche la russa Rosneft e piccole compagnie sudafricane si stanno lanciando in questa caccia al tesoro, anche se chi c’è già si è assicurato giacimenti tra i più preziosi. Il Cane a sei zampe, in prima linea dal 2006, detiene il 34 per cento dell’area del bacino offshore di Rovuma, dove sta sviluppando il sito insieme con il gruppo Usa. Lì, tra mare e terra, risorse pari a 2.400 miliardi di metri cubi di gas naturale aspettano solo di essere sfruttate. Quantità altrettanto colossali, circa 2.130 miliardi di metri cubi, sono custodite nel sottosuolo nell’area della Total, che coordina le operazioni. Inutile scrivere che si tratta di siti strategici con enormi potenzialità di sviluppo, tanto che lo scorso maggio Eni ha ottenuto i diritti di esplorazione nelle acque profonde dei bacini di Angoche e dello Zambesi con una quota del 10 per cento.

Il governo di Maputo, accusato dal Fmi di maneggiare tangenti milionarie in dollari, sta cavalcando questa corsa all’oro del Mozambico: poco meno di un anno fa ha approvato il progetto Rovuma Lng (liquid natural gas) che va oltre la fase di produzione del gas perché prevede anche la liquefazione, fino alla commercializzazione. Gli interessi, dunque, sono forti, fortissimi.

Ecco perché appare quantomeno sospetto che il risiko della Jihad punti proprio su questa parte dell’Africa, dove è dal 2017 che gli islamisti infieriscono su gente ormai rassegnata al male. I numeri Onu dicono tutto: 2.600 morti e quasi 700mila sfollati. Un particolare non va trascurato: all’inizio, i combattenti islamisti avanzavano a colpi di machete, mentre per l’attacco simultaneo di più gruppi a Palma, con una regia spettacolare, hanno dispiegato un arsenale militare completo perfino di blindati. Il denaro, quindi, sembra essere arrivato copioso per conquistare territori che valgono miliardi e su cui tutti vorrebbero mettere le mani. In questo contesto fortemente destabilizzato, i pericoli che possono correre i grandi gruppi occidentali dipendono dagli interessi che vanno oltre il marchio di fabbrica della guerra santa dell’Isis.

Ecco perché la disfatta di Palma, dicono gli analisti, pone serie domande sulla capacità del governo di garantire la sicurezza delle imprese. Basti pensare che, appena iniziati i combattimenti, dalla sede parigina della Total è partito l’ordine di un’evacuazione rocambolesca via mare di oltre mille dipendenti e il blocco del sito di gas naturale. È la seconda volta da gennaio che tutto si ferma, e sempre per motivi di sicurezza. L’impianto galleggiante di Eni, invece, pare non a rischio proprio perché è offshore. Se, però, i fondamentalisti non saranno fermati, l’unica possibilità per il Mozambico di difendere il proprio forziere si rivelerà volatile come il suo gas.