Mossa antirussa della Polonia "Dimenticate Kaliningrad" La città di Kant torna al nome antico

Via il termine sovietico, la piccola porzione di territorio sul Baltico si chiamerà di nuovo "Krolewiec". Prima che finisse sotto Stalin era la Konigsberg nella Prussia orientale dove nacque il filosofo.

di Roberto Giardina

Nell’Europa dell’Est si combatte anche con i nomi. La Polonia si sente minacciata da Putin che ha invaso l’Ucraina, domani vorrà conquistare Varsavia? I russi sono da sempre poco amati, i polacchi non possono giustamente dimenticare la storia. E vogliono ridare il loro nome a Kaliningrad, città russa sul Baltico, un’enclave, un’area di 233 chilometri quadrati chiusa tra la Polonia e la Lituania. "Dovrà avere il suo vero nome, Krolewiec", dichiara il ministro allo Sviluppo Waldemar Buda. Una provocazione senza conseguenze apparenti, non dovranno neanche essere cambiati i documenti diplomatici e commerciali.

La città fu ribattezzata Kaliningrad dai sovietici in onore di Mikhail Kalinin, uno dei leader della rivoluzione bolscevica: una ferita profonda per Varsavia, che lo considera "corresponsabile" del massacro di ufficiali polacchi ordinato da Stalin a Katyn nel 1940, come ha ricordato Buda. Ma la battaglia contro la "russificazione della Polonia" è anche un modo per prendere ancora di più le distanze dal Mosca dopo l’invasione dell’Ucraina. La reazione verbale del Cremlino non si è fatta attendere. "La Polonia nel corso dei secoli è scivolata in una forma di follia guidata dal suo odio per i russi che non ha prodotto nulla di buono per loro", ha avvertito Dmitry Peskov.

Bisogna stare attenti ai luoghi e alle città che continuano a cambiare nome. La storia è una specie di marea che avanza e si ritira per le sconfinate pianure della Mitteleuropa. E trascina anche i popoli, con violenza: 14 milioni di tedeschi furono costretti a fuggire all’Ovest, e il loro posto fu preso dai polacchi dei territori orientali che vennero occupati dai sovietici. Tutti vittime, vincitori e vinti. Fino al ’45, la città si chiamava Königsberg, come la battezzarono i tedeschi nel 1286, la Montagna del Re, benché sia alta appena 4 metri sul livello del mare. E qui nacque il più tedesco dei filosofi, Immanuel Kant (1720-1804), insieme con Hegel. Era la capitale della Prussia Orientale, distante dal Baltico una cinquantina di chilometri, a cui è unita da un canale. Fu rasa al suolo dai bombardamenti, e dell’antica città è rimasta ben poco. I sovietici la chiamarono Kaliningrad in onore di Kalinin, morto nel 1946, e che non l’aveva mai vista. Ma i lituani la chiamano Karaliaucius, che diventa Kralovec in ceco, e Keisberg in yiddish. Ha 432mila abitanti, in gran parte russi.

Quando fu indetto un referendum su come chiamare l’aeroporto, la maggioranza scelse il nome di Kant, ma i russi vietarono di ricordare il filosofo per loro troppo conservatore. Scrisse Per la pace perpetua (1795), in cui avverte che esportare libertà e democrazia con le armi è un controsenso. Ma i capi di Stato non hanno tempo per leggere. Come Danzica, Gndask in polacco, prima della guerra, separata dal Reich nazista, e poi Berlino Ovest, chiusa nella Germania comunista, e oggi la Crimea e Taiwan, è una sorta di allarme che si accende quando la situazione diventa critica.

Di recente polacchi e lituani hanno chiuso per breve tempo le vie di accesso via terra a Kaliningrad, bloccando i camion russi. Günter Grass ha dedicato a Danzica, sua città natale, il primo romanzo Il tamburo di latta. Non appartiene né ai polacchi, né ai tedeschi, o un po’ a tutti. Come la città di Kant, che non la lasciò mai neppure per qualche giorno, o Riga, in Lettonia, o Stettino, città che era tedesca (Stettin) e ora è la polacca Szczecin. Hanno tutte diverse anime e lingue che si somigliano o sono incomprensibili, o una sola anima baltica. Basta guardare le facciate dei palazzi e le chiese. Non tutti sono stati cancellati dalla guerra.