Mosca paga il debito in rubli: default a un passo

Scadono le cedole di due bond per 117 milioni di dollari, la Russia verso l’insolvenza. E userà lo yuan cinese come riserva valutaria

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di Elena Comelli

Il giorno del giudizio per la Russia è domani. Scadono domani, infatti, 117 milioni di dollari di pagamenti per le cedole di due bond russi. E dopo quelle del 16 marzo altre due scadenze si avvicinano: quella del 31 marzo, quando Mosca dovrà pagare altri 359 milioni di dollari di cedole e il 4 aprile, quando scade un’obbligazione da 2 miliardi di dollari. Nel frattempo, il regime di Vladimir Putin affila le armi e va al contrattacco: è pronto a girare tutte le sue riserve in valuta e oro in yuan, la valuta dell’alleato cinese. E approva una procedura temporanea per il rimborso del debito in valuta estera, che consente di rimborsare i creditori in rubli.

"Il decreto russo che consente di ripagare in valuta locale anche i titoli emessi originariamente in dollari o in euro per le nazioni che hanno sanzionato la Russia aggiunge incertezza legale e la quasi certezza che questo pagamento non rientri nelle clausole contrattuali originarie", commenta Gian Marco Salcioli, strategist Assiom Forex.

Il mancato pagamento delle cedole in scadenza farebbe partire il periodo di 30 giorni, al termine del quale il default viene formalizzato. Nei casi precedenti, questo periodo era denso di trattative, che oggi sarebbero oltremodo complicate vista l’aggressione all’Ucraina in corso. Per questo la direttrice del Fondo Monetario, Kristalina Georgieva, ha detto che il default della Russia "non è improbabile". Jp Morgan stima ora un crollo del Pil russo del 35% nel secondo trimestre e di almeno il 7% per l’intero 2022. Le conseguenze, secondo gli analisti, sono imprevedibili per chi si ritroverà in mano dei titoli che rischiano di diventare "carta straccia".

La Russia conta 40 miliardi di dollari di titoli sovrani diffusi a livello internazionale e suddivisi in una quindicina di emissioni in euro e in dollari, mentre i bond societari superano i 200 miliardi di dollari. Una eventuale insolvenza di Mosca coinvolgerebbe inevitabilmente anche i gruppi a partecipazione pubblica, a cominciare dai colossi del gas e del petrolio Gazprom e Rosneft, le cui obbligazioni sono presenti in molti prodotti del risparmio gestito collegati ai mercati emergenti e venduti anche in Italia. I bond societari sono quelli più problematici perché sono molto più diffusi, anche tramite prodotti di investimento venduti al largo pubblico.

Il 7 marzo, Gazprom ha onorato un’importante scadenza obbligazionaria da 1,3 miliardi di dollari pagando in dollari, ma forse solo per la mancanza di tempo materiale per adeguarsi al decreto Putin del 5 marzo.

Per l’Italia, con un’esposizione che molte aziende e investitori hanno ridotto drasticamente dopo l’aggressione all’Ucraina del 2014, pesano soprattutto i 25 miliardi di crediti del settore bancario. Ma di fronte alla necessità di Mosca di trattenere quanti più dollari possibile, in prospettiva potrebbe complicarsi l’uscita dalle residue attività di gruppi come Eni, o la decisione sul da farsi di gruppi con una presenza rilevante in Russia come Unicredit, Intesa Sanpaolo, Generali, Maire Tecnimont. Tra gli obbligazionisti Gazprom rimborsati la settimana scorsa, sia pure per pochi milioni, Bloomberg segnalava ad esempio anche Fideuram – Intesa Sanpaolo private banking, a sua volta esposta per via di un investimento in un fondo di Aberdeen. Bisognerà vedere d’ora in poi come i grandi gruppi russi ripagheranno i bond, se nella valuta di denominazione o in rubli.