Morti per Covid, l’Italia resta maglia nera. "Troppi malati arrivano tardi in ospedale"

L’anestesista Gattinoni e l’indice di letalità al 3,8%: "I medici di base facciano le visite domiciliari". Continua il calo del tasso di contagiosità

Coronavirus, Italia maglia nera per il numero di vittime (Ansa)

Coronavirus, Italia maglia nera per il numero di vittime (Ansa)

Continua a scendere il tasso di contagiosità e soprattutto diminuiscono finalmente i morti per Covid e gli accessi in Terapia intensiva. Prevalgono i segnali di ottimismo nel bollettino della Protezione civile che ogni giorno fotografa l’andamento della pandemia nel nostro paese. Nelle ultime 24 ore i nuovi positivi sono stati 36.176 contro i 34.283 di mercoledì, ma a fronte di 250.186 tamponi processati, quasi 16mila in più. La percentuale positivitest cala ancora per il terzo giorno di fila, seppur lievemente e passa dal 14,6 al 14,4. Ieri i decessi da Covid sono stati 653 (-100), mentre rallenta l’incremento delle Rianimazioni (+42 rispetto a +58 del giorno precedente e al +120 registrato martedi).

Il bollettino Covid del 20 novembre

Il cauto ottimismo, che si respira in quest’ultimi giorni, non cancella un primato tutt’altro che invidiabile centrato dal nostro Paese nella lotta al Coronavirus. Il rimando è alla medaglia di bronzo nella classifica degli Stati col più alto tasso di letalità per Covid su cento positivi, redatta dalla Johns Hopkins University di Baltimora.

In Italia l’indice sfiora il 4% (3,8%), superato solo da quelli di Messico (9,8%) e Iran (5%). I virtuosi si chiamano Spagna (2,8%), Francia (2%) e soprattutto Germania (1,6%). Come si spiega un divario così marcato da altri grandi potenze d’Europa? Il padre della tecnica riabilitativa del paziente pronato in Terapia intensiva, Luciano Gattinoni, ordinario emerito di Anestesia, all’Università di Gottingen, terra teutonica, e al Policlinico di Milano, si è fatto un’idea ben precisa sulla débâcle italiana.

Professore, perché tanti morti in Italia?

"Cercare una sola causa per spiegare il perché di così tanti decessi per Covid significa mettersi fuori strada da soli. La risposta risiede in una concatenazione di fattori, ciascuno con una propria valenza".

Partiamo da chi contesta la disomogeneità del conteggio: se l’Italia annovera fra le vittime per Covid anche chi è da tempo allettato per più patologie e in stato terminale, all’estero sono meno di ’manica larga’?

"Sicuramente la ragione del decesso non viene classificata allo stesso modo. Anche da noi alcune morti sono indicate in cartella con un generico ’arresto cardio-circolatorio’, che di per sé vuole dire poco o nulla in quanto tutti moriamo col cuore che si ferma. Detto questo, rifiuto di pensare che vi sia una gara planetaria a nascondere le vittime da Sars-Cov2. Siamo seri, non è questo aspetto che di per sé giustifica il nostro indice di letalità".

Colpa del minor numero di test processati?

"È chiaro che con pochi tamponi il dato relativo ai morti finisce per salire. Finora abbiamo effettuato poco più di 18 milioni di esami, i tedeschi 25, ma è anche vero che Francia e Spagna non è che si siano discostati troppo da noi. Eppure si collocano in una posizione più bassa in classifica".

Entriamo negli ospedali, professore: anche qui ci sono fragilità che ci penalizzano?

"Senz’altro, pensiamo solo al dato di quanti siano gli infermieri per mille abitanti. In Germania siamo a quota 13,6, in Svizzera saliamo a 17, da noi non si va oltre i sei, più della metà in meno. Tutto questo si traduce nel fatto che, non solo abbiamo pochi medici nei reparti, ma dobbiamo fare i conti con una significativa carenza infermieristica nelle Rianimazioni dove il ruolo di questo tipo di sanitari è fondamentale. A ciò si aggiunge il capitolo della spesa sanitaria pro capite".

Snoccioli le cifre.

"In Germania si attesta attorno ai 6mila dollari contro i nostri 4mila che sono comunque di più dei 3mila investiti da Berna. Tutto spiegato allora? Non proprio, visto che la Svizzera piange meno morti di noi".

Insomma, si torna all’inizio: non esiste un criterio unico, sia questo statistico, economicoo sanitario, per giustificare il ranking italiano.

"Esatto, lo stesso discorso vale per l’anzianità della popolazione, che in Italia è la fra le più elevate al mondo. Dal punto di vista clinico, però, c’è un ulteriore dato che non si può più eludere".

A che cosa pensa, professore?

"L’abbiamo patito durante la prima ondata e in parte lo stiamo vivendo anche oggi. Troppi pazienti continuano ad arrivare tardi, troppo tardi in ospedale. Anche se oggi abbiamo evidenze scientifiche che dimostrano come l’utilizzo di cortisonici ed eparina contribuiscono a ridurre la mortalità anche del 30%, la tempestività di ricovero resta fondamentale. Purtroppo da parte della medicina territoriale non sempre si ha un monitoraggio efficace dei positivi a domicilio. Quando sento il Tar del Lazio dire che i dottori di famiglia non devono andare a fare le visite a casa dei pazienti, sobbalzo sulla sedia. Così non si curano i malati, anzi".

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