La Suprema Corte ha stabilito che occorrerà un nuovo processo d’appello, il terzo, per Daniela Poggiali, la 47enne ex infermiera dell’Ausl Romagna accusata di avere ucciso una sua paziente 78enne con una iniezione di potassio praticata a poche ore dal ricovero all’ospedale ‘Umberto I’ di Lugo, nel ravennate, la mattina dell’8 aprile 2014. La sentenza è arrivata ieri pomeriggio quando i giudici romani hanno annullato l’assoluzione pronunciata nel maggio 2019 dal Tribunale di Bologna. Il primo processo, nel marzo 2016 davanti alla Corte d’Assise di Ravenna, era finito con l’ergastolo per l’imputata. E in quel momento, si trattava della prima condanna in Italia per un omicidio volontario in cui l’arma del delitto fosse il potassio, medicinale capace di indurre l’arresto cardiaco ma le cui tracce nel giro di breve scompaiono. C’erano volute le analisi sull’umor vitreo prelevato dalla defunta a 56 ore dal decesso e compiute da un luminare della medicina legale – il prof Franco Tagliaro incaricato dalla procura di Ravenna – per restituire valori di potassio quasi doppi rispetto a quelli fisiologicamente attesi. Il primo colpo di scena a luglio 2017 quando la Corte d’Assise d’Appello di Bologna aveva assolto la Poggiali disponendone la scarcerazione dopo 1.003 giorni. Secondo i giudici una morte naturale dovuta a scompenso glicemico era da considerarsi prevalente. Tutto annullato nel luglio dell’anno dopo in Cassazione: appello-bis a Bologna.
Nel maggio 2019 i colpi di scena erano stati due: i giudici non solo aveva assolto la Poggiali, ma avevano disposto la trasmissione atti alla procura di Ravenna per il vaglio di calunnie e simulazioni di reato aprendo la strada a uno scenario inedito: una macchinazione ai danni dell’imputata. Tutto spazzato via dall’ennesimo colpo di scena di questa vicenda.
Andrea Colombari