Mercoledì 24 Aprile 2024

Morte di Mara Cagol, caso riaperto Caccia al brigatista che fuggì

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MILANO

Documenti e reperti raccolti 47 anni fa sul luogo della sparatoria. Oggetti, fra cui una macchina da scrivere sequestrata nel covo delle Br in via Maderno a Milano nel gennaio 1976 e un dattiloscritto, sono finiti sotto la lente del Ris di Parma, che avrebbe estratto un’impronta genetica e un dna. Il pool anti-terrorismo della Procura di Torino ha ascoltato una ventina di persone, tra cui alcuni ex esponenti delle Brigate Rosse citati come "testimoni imputati di reato connesso" nell’ambito delle nuove indagini per fare chiarezza su uno dei tanti misteri degli Anni di Piombo. I carabinieri sono vicini a dare un nome a “mister X“, il brigatista sparito nel nulla il giorno della liberazione dell’industriale Vittorio Vallarino Gancia: l’uomo, finora un “fantasma“, che 24 ore prima aveva rapito il re dello spumante con Mara Cagol, moglie dell’ideologo delle Br Renato Curcio morta nello scontro a fuoco in cui perse la vita anche l’appuntato Giovanni D’Alfonso.

Fu il primo sequestro di persona a scopo di autofinanziamento operato dalle Brigate Rosse. Era il 5 giugno 1975 quando lo scontro a fuoco tra i terroristi e i militari trasformò in un campo di battaglia lo sterrato attorno alla cascina Spiotta di Arzello, nell’Alessandrino. Margherita Cagol, nome di battaglia Mara, a soli trent’anni aveva già preso parte al sequestro del giudice Mario Sossi e all’assalto al carcere di Casale Monferrato da cui venne fatto evadere Curcio, sposato nel 1969. Scoprire chi partecipò a quell’azione armata, nella quale i brigatisti tentarono di farsi largo tra i carabinieri anche con le bombe a mano, non ha però soltanto valore storico. Per Bruno D’Alfonso, carabiniere figlio dell’appuntato morto sotto i colpi della Cagol e del misterioso terrorista, "è importante che dopo tanti anni ci sia ancora qualcuno disposto a scoprire qualcosa. Non so quanto, ma oggi sicuramente la verità è meno lontana". A far riaprire le indagini è stato proprio un esposto presentato un anno fa dall’avvocato Sergio Favretto, legale di D’Alfonso, sfociato nei nuovi accertamenti vicini a una svolta. Quel giorno sulle colline di Acqui Terme l’unico a rimanere illeso tra i carabinieri fu l’appuntato Pietro Barberis. Il tenente Umberto Rocca, preso in pieno da una bomba, perse un braccio e un occhio, mentre il maresciallo Rosario Cattafi, investito dalle schegge, rimase ferito. D’Alfonso morì dopo alcuni giorni di agonia. Uno dei due brigatisti riuscì invece a fuggire verso il bosco e a sparire. Si sono fatte varie ipotesi sulla sua identità, che ora potrebbe essere svelata.

Andrea Gianni