Monopattini come cavallette Li fermiamo?

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Guido

Bandera

Beati voi, che vivete lontano da Milano e non sapete, non vi rendete conto della incontenibile febbre da monopattino che ha contagiato la metropoli. Beati voi, abitanti delle lontane campagne, delle placide e austere città di provincia. Per voi una strada è ancora una strada, un marciapiede un posto dove si cammina; per voi noleggio significa ancora (come un tempo) affitto a breve termine. Da quando il vocabolo qui è stato sostituito dalla traduzione anglo-trendy più nota come “sharing“, francamente, non si campa più. Società mai viste né sentite parcheggiano migliaia di tavolette elettriche in ogni angolo. E quando si controlla, si scoprono magagne. Tre aziende su otto, per 2.500 trabiccoli su 6mila totali, sono state allontanate dal servizio: mezzi troppo veloci. Ma gli altri restano, per la gioia di saettanti fuggiaschi del lockdown (perdonate, dire chiusura non è di moda). Mascherina al vento, cuffie senza fili (Airpods?) nelle orecchie, i patiti della quotidiana “attività motoria“ (consentita o meno dai Dpcm) ronzano senza sentire clacson e improperi di chi se li vede sgusciare a un centimetro dai piedi (o dai paraurti).

Li incroci ovunque: ciclabili, sottopassaggi, vicoli e mega-rotonde della circonvallazione. Rapidi, fragilissimi, giovani e incoscienti, anche se hanno cinquant’anni. Gli incidenti si sprecano, ma per fortuna la gran parte finisce solo con una zuccata. Poi si riparte, perché a Milano tutto è “sharing“, anche il pericolo.