Giovedì 18 Aprile 2024

Mondo di mezzo tra tifo e crimine Biglietti, droga, ’ndrangheta Affari proibiti dei ras degli stadi

L’uccisione del capo ultrà dell’Inter accende i riflettori sul business parallelo degli impianti italiani

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di Nicola Palma

MILANO

L’autopsia ha confermato: due colpi a segno, uno al fianco e uno al collo da distanza ravvicinata. Due proiettili calibro 9x21 per uccidere il ras sessantanovenne della Nord Vittorio Boiocchi e scoperchiare indirettamente il vaso di Pandora dell’indotto "nero" del Meazza, che da anni gonfierebbe le tasche dei leader del tifo organizzato. Chi ha sparato sapeva benissimo che l’omicidio di sabato – un’ora dopo il secondo anello verde è stato sgomberato per "lutto", e adesso almeno in quattro rischiano il Daspo – avrebbe scatenato le indagini a tappeto della Squadra mobile e (ri)acceso i riflettori sul business parallelo degli stadi che periodicamente riemerge come un fiume carsico a varie latitudini. Ciò vuol dire che, nelle logiche criminali di chi ha agito, quel delitto era diventato inevitabile, per eliminare un personaggio scomodo o per anticipare le sue mosse. Per Boiocchi parlavano fedina penale e rapporti cristallizzati da inchieste e sentenze: dieci condanne definitive e 26 anni in cella, tra il ’96 e il ’97 era stato il "responsabile delle operazioni finanziarie" di un’associazione a delinquere (di cui facevano parte i fratelli Giuseppe e Stefano Fidanzati) che importava cocaina dalla Colombia e che gli aveva permesso di "instaurare stretti contatti" con i Mannino e con la mafia del Brenta. Dopo la scarcerazione nel 2018, Boiocchi ha subito scalato la curva, lasciata ai tempi in cui era al vertice dei Boys San, con metodi autoritari: basti citare il caso della scazzottata col "rivale" Franchino Caravita, poi smentita con un doppio dito medio nella stanza di ospedale in cui lo "Zio" era stato ricoverato per un infarto.

Rientrato al Meazza, pare che il pluripregiudicato fosse interessato solo a fare soldi e recuperare il tempo perduto, lucrando su tutto ciò che ruota attorno alla Scala del calcio. Dai pacchetti di biglietti (dai 100 ai 300 a gara), che i capi della Nord avevano a disposizione ogni domenica, all’affare dei parcheggi (settore che si vocifera interessi in particolare al clan Iamonte di Melito di Porto Salvo), dai paninari agli steward per i concerti, fino al piccolo spaccio.

Sul fronte tagliandi, un’indagine della Procura scattata dopo gli scontri del 26 dicembre 2018 e l’investimento mortale di Daniele Belardinelli, coinvolse pure quattro dirigenti del club di viale della Liberazione, anche se nell’ottobre 2021 la loro posizione fu archiviata: per pm e gip, non erano complici della presunta gestione opaca, bensì "vittime di comportamenti minacciosi ed estorsivi" da parte dei leader della curva. Che pretendevano ticket ("Dammene cento del terzo anello: c’è il Barcellona, facciamo il botto...") e che volevano persino essere avvisati in anticipo dell’arrivo dei calciatori appena acquistati (coi quali si facevano puntualmente fotografare a visite mediche ultimate). Per fare pressione, usavano le solite leve minatorie: cori e striscioni offensivi, fumogeni, trasferte turbolente.

Un sistema che si bloccò con la pandemia e la chiusura degli impianti sportivi, con grande rammarico di Boiocchi: in una conversazione intercettata, parlava degli "80mila euro al mese tra parcheggi e altre cose", dei "700-800 biglietti in mano" e degli incassi da "10mila euro ogni partita". I suoi interessi, però, non si limitavano a San Siro, anzi. Prova ne è l’arresto del 3 marzo 2021, quando la polizia lo fermò col complice Paolo Cambedda: stavano andando a sequestrare un imprenditore per costringerlo a consegnare due milioni di euro. Qualche mese prima, il 27 luglio 2020, una Volante lo aveva controllato in un bar del centro: con lui c’erano Vincenzo Facchineri, esponente dell’omonima ’ndrina reggina, e Antonio "Caniggia" Canito, legato al clan barese dei Magrini. Boss e trafficanti. Droga ed estorsioni. Questo era il mondo dello "Zio". E in quel mondo si nasconde chi l’ha fatto fuori.