Moby Prince, c'era una terza nave. "Arrivò all'improvviso e provocò l'incidente"

Le conclusioni choc della commissione d'inchiesta. "Nessuna esplosione, né malfunzionamento". Le vittime del disastro del 1991 furono 140

Roma, 15 settembre 2022 - Spunta una terza nave nel tragico incidente del 1991 tra la Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo. Era in quelle acque maledette e avrebbe innescato, involontariamente, il disastro. Sono le conclusioni choc a cui è giunta la commissione parlamentare d'inchiesta, riferite oggi dal presidente della commissione stessa, Andrea Romano. La collisione, secondo la relazione finale approvata all'unanimità, avvenne proprio "per colpa della presenza di una terza nave comparsa improvvisamente davanti al traghetto che provocò una virata a sinistra che ha poi determinato l'incidente". Al momento, prosegue, "purtroppo questa nave non è ancora stata identificata con certezza". Nessuna esplosione, quindi. Romano ha spiegato che dopo 8 mesi di lavoro della Commissione ora la verità "è più vicina". Nel disastro della Moby Prince, avvenuto la sera del 10 aprile 1991, morirono 140 persone. Vittime per cui dopo 31 anni non si è ancora individuato un colpevole. 

Sommario

L'incendio della Moby Prince del 1991 (Ansa)
L'incendio della Moby Prince del 1991 (Ansa)

La relazione della Commissione d'inchiesta

La commissione si è affidata alla società Cetena "una delle più importanti di ingegneria navale, alla quale abbiamo affidato una enorme mole di dati". Un lavoro che ha prodotto "un milione e 250mila ipotesi diverse" sulla ricostruzione dell'accaduto. Le conclusione del Cetena "sono le nostre conclusioni" e "ci dicono che lo scenario più vero della collisione coincide con un cambio di rotta improvviso della 'Moby Prince' più marcato di 15 gradi realizzato nel giro di 30-50 secondi". Perché una manovra così drastica? Perché, secondo la commissione, era spuntata una terza nave. Nessuna avaria, né malfunzionamento. "Il sistema delle eliche era in piena efficienza al momento della collisione, non vi era alcuna avaria né malfunzionamento ai sistemi della Moby Prince", sottolinea Romano. Dalle perizie acquisite si evince che l'Agip Abruzzo "si trovava in una zona di divieto di ancoraggio". 

L'ipotesi bomba

E ancora: "L'esplosione si produsse subito dopo la collisione ma non abbiamo ancora risposte esaustive sulla presenza di tracce contaminate trovate a bordo per le quali sarebbero serviti ulteriori accertamenti. Che però non abbiamo potuto fare perché abbiamo terminato le indagini con la fine della legislatura in vista delle prossime elezioni".

Rispondendo alle domande dei giornalisti, Romano spiega che "l'ipotesi di una bomba esplosa a bordo del Moby Prince, insieme a quella della nebbia o della distrazione del comando del traghetto durante la navigazione, hanno contribuito a creare confusione su ciò che è realmente accaduto la notte del 10 aprile 1991". La teoria dell'esplosivo che "causò lo scoppio nel locale delle eliche di prua del Moby Prince indicata dalla perizia del dottor Alessandro Massari, si è rivelata infondata e insieme alle altre ha contribuito a creare confusione". 

Il black out

Le condizioni meteo di quella sera "sono state ricostruite con vari documenti o misure fatte da strumenti che si trovavano in quell'area" e portano a stabilire che la "visibilità di fronte al porto di Livorno era buona se non ottima, vento di pochi nodi, mare calmo e corrente marina ininfluente".  Vero è che "il black out a bordo della petroliera pochi minuti prima della tragica collisione la rese invisibile davanti agli occhi del comando del traghetto Moby Prince". Che a quel punto fu "costretto a fare una virata improvvisa a sinistra per evitare una collisione certa con una terza nave presente in mare e purtroppo non ancora identificata". 

Eni

Per quanto riguarda Eni ("una grandissima società che è un vanton nazionale", sottolinea Romano), forse "sapeva che Agip Abruzzo si trovava dove non doveva essere, forse sapeva anche del black out o del vapore e perfino che forse era coinvolta in attività di bunkeraggio clandestino: noi abbiamo chiesto i materiali delle inchieste interne ma non li abbiamo avuti". Aggiunge il presidente della commisssione: "Spero che chi lo farà in futuro sia più fortunato di noi. Quei documenti per i quali rinnovo l'appello a renderli pubblici possono contribuire a scrivere un altro pezzo importante di verità di quella tragica notte". 

Poca collaborazione da Francia, Russia e Usa

La Commissione si è rivolta ai rappresentanti diplomatici in Italia di tre Paesi (Francia, Federazione Russa, Stati Uniti d'America) "per chiedere di poter accedere alle immagini satellitari e alla documentazione radar relativi al porto di Livorno per le giornate del 10 e 11 aprile 1991 eventualmente in possesso dei rispettivi Governi". Ma ben poca è stata la collaborazione offerta. "L`ambasciatore russo, Sergey Razov, ha risposto che da ricerche effettuate si è verificato che la Federazione Russa non possiede quanto richiesto - si spiega nella relazione finale - L'ambasciatore francese, Christian Masset, ha comunicato dapprima di aver trasmesso la richiesta alle competenti autorità del suo Paese e successivamente che le amministrazioni statali francesi non sono in grado di fornire alcuna informazione alla Commissione. Dall'incaricato d'affari statunitense Thomas D. Smitham non è sinora giunto alcun riscontro".

Le televisioni

Ma anche le televisioni italiane non hanno aperto i propri archivi. "Per quanto riguarda le richieste, relative alle immagini filmate in occasione del disastro della Moby Prince, inviate poco prima dello scioglimento delle Camere ad alcune emittenti televisive - si spiega nel rapporto - è giunta risposta solo da TV9 Telemaremma, che ha inviato due filmati, mentre finora non risultano pervenuti riscontri da Granducato TV e da Mediaset".

Le reazioni

"Ora è necessario scoprire chi è la terza nave che ha causato questo disastro, ma anche sapere chi ha messo in atto, da subito, un'azione dolosa per fare in modo che la verità non si scoprisse e che ora è più vicina". È il commento, a caldo, di Luchino Chessa, presidente dell'Associazione 10 aprile familiari vittime e uno dei due figli del comandante del Moby Prince Ugo Chessa. 

"Spero che anche la procura di Livorno, che ha un fascicolo aperto, vada in fondo su questi aspetti". L'altro figlio del comandante, Angelo, è deceduto nei mesi scorsi. "Ora sappiamo - ha sottolineato Chessa - che una terza nave ha creato turbativa alla navigazione del Moby Prince e adesso dobbiamo anche capire perché nessuno ha soccorso il traghetto e perché tutti sono andati verso la petroliera, che aveva una serie di situazioni dubbie che oggi devono essere chiarite e che hanno portato a quel patto di non belligeranza tra le due compagnie. Perché Navarma ha voluto questo accordo assicurativo? Che cosa ci ha guadagnato?".

Per Nicola Rosetti, vicepresidente della commissione Moby Prince 140: "Bisogna trovare i responsabili di quelle menzogne che da subito volevano farci credere che fu la nebbia e una tragica fatalità a determinare la morte di 140 persone".