Giovedì 25 Aprile 2024

Mistico, colto e nazionalpopolare Era il più alieno tra i cantautori

Battiato è stato uno dei pochi capaci di mischiare sacro e profano, canzonette e musica classica

Migration

di Leo

Turrini

Talvolta il miracolo si compie sotto i nostri occhi. E noi, così presi dalle contingenze del presente, nella migliore delle ipotesi non ce ne accorgiamo. Oppure, imitando il Clark Gable di Via col vento, ecco, francamente ce ne infischiamo.

Ebbene, al netto della commozione per l’addio, conviene scriverlo subito: Franco Battiato è stato un miracolo italiano nazionalpopolare. Con una sublime capacità di mischiare il sacro al profano, viaggiando tra l’alto e il basso senza infingimenti intellettualoidi. Battiato ci spiazzava perché non si riconosceva nel luogo comune. Restava sempre se stesso, che intonasse Cuccuruccu Paloma o che sospirasse i versi tragici di Povera patria.

Che cosa rende un artista unico e irripetibile? Non i record di vendite (più di un milione di copie per l’album che conteneva Bandiera bianca) e nemmeno il compiacimento della critica di regime. Nossignore. Battiato era inimitabile perché esprimeva un "sentimiento nuevo", perché vagava nei cieli di una ricerca non solo compositiva ma interiore. La profondità del pensiero musicale si traduceva all’istante in una leggerezza che non era superficiale. Poteva cantare "cerco un centro di gravità permanente", inneggiare all’uva passa da preferire a Vivaldi perché dà più calorie, ma tu ti rendevi conto che dentro e sotto c’era altro. Tanto altro.

Viviamo ormai in una società secolarizzata, che con l’idea di Dio ha ucciso anche il senso del dovere. Per questo, non stupisce che l’afflato religioso di Battiato sia stato frettolosamente rimosso. E invece lui era un mistico: ragionava di infinito e di universi lontanissimi, No time no space, per inseguire una risposta alle domande eterne.

Intendiamoci: non era, Franco, un cattolico baciapile. Aveva una idea del Mistero che lo portava a indagare senza ossequi nei confronti della autorità costituita. Io credo ci volesse anche un certo coraggio, per un re della hit parade, nel mettersi lì a scrivere versi come quelli che sto timidamente per trascrivere: "Questo secolo ormai alla fine Saturo di parassiti senza dignità Mi spinge solo ad essere migliore Con più volontà Emanciparmi dall’incubo delle passioni Cercare l’Uno al di sopra del bene e del male Essere una immagine divina di questa realtà..." (da E ti vengo a cercare, una canzone che andrebbe insegnata nelle scuole).

Quando un professionista del pentagramma tira fuori una cosa del genere, beh, gli alibi sono finiti. Stai di fronte a un essere umano che comunicando tenta di trasmetterti qualcosa, invitandoti a spegnere la tv, a smetterla di guardare i talk show e i reality.

Franco Battiato è stato un grande miracolo nazionalpopolare perché non ha mai rinnegato la sua cultura alta, i suoi studi e i suoi libri. E al tempo stesso ha usato la canzonetta per veicolare messaggi intimi. Si è battuto per l’integrazione multietnica, salvaguardando le sue radici siciliane. Ha fatto anche politica disprezzando i politicanti. Credo avvertisse un tratto di disperante malinconia, assistendo a quanto ci circonda.

E infatti ha scritto La cura e ha cantato bene come nessuno Impressioni di settembre di Mogol e della PFM per farci capire che possiamo guarire da noi stessi, perché la stagione dell’amore viene e va e i desideri non invecchiano quasi mai con l’età.

"Questo sentimento popolare nasce da meccaniche divine" (Franco Battiato)