Miracolo Draghi C’eravamo tanto odiati

Gabriele

Canè

Tra le mura antiche di Città della Pieve, ieri Draghi ha certamente passato un giorno operoso, ma tranquillo. Da Roma solo sussurri, nessun grido. Miele, e non vetriolo, innanzitutto per lui, in pochi giorni l’uomo più popolare di un’Italia in cerca d’autore. L’Italia che ha ritrovato il suo Stellone, la buona sorte che aiuta gli incoscienti, visto che sarebbero bastati altri quattro Scilipoti raccattati in Senato, e il Conte che conta di più sarebbe stato ancora quello di Palazzo Chigi, e non l’allenatore dell’Inter. Fortuna ha voluto che non li abbiano trovati, e che dalla caccia ai "peggiori" siamo passati quasi senza volerlo alla scoperta del Migliore. Con il risultato che un po’ per l’appello di Mattarella, un po’ perché dopo Draghi ci sarebbe solo il diluvio delle urne, ci troviamo alla vigilia di un governo di quasi tutti. In cui, per evitare i voti, stanno cadendo, o almeno si stanno smussando uno ad uno, anche i veti. Persino quelli per Salvini, il Belzebù rinsavito. Con Zingaretti che annota come sia Matteo ad essere andato sulle posizioni Pd riguardo all’Europa, invitandolo a dare dimostrazione di coerenza. Il minimo sindacale, insomma. Resta il nodo di Leu, che in realtà è il nodo Speranza. Che ha navigato nel mare in tempesta della pandemia, candidandosi a una possibile riconferma. Sempre che il suo partito non mantenga la pregiudiziale anti Lega, che anche il Pd sembra avere congelato.

Una previsione: Speranza resterà, con il sostegno malpancista di Leu al Governo, o con una sorta di sua "migrazione" tra i tecnici, in quanto titolare di tutti i dossier Covid e vaccinazioni. Intanto lo spread scende e la fiducia di cavarci i piedi sale. Sapendo che Draghi sarà ancora più popolare quando dovrà spendere i 209 miliardi del Recovery, ma molto meno quando dovrà stringere, per tappare i buchi che il virus ha aperto nei nostri conti pubblici già agonizzanti. Due vasi, è bene ricordarlo, non del tutto comunicanti.