Una lettera scritta al giornale nel cuore della notte. Un racconto che al tempo stesso è un grido di dolore e una richiesta di aiuto. La richiesta di una donna della provincia di Firenze che assiste il marito malato e che lo fa ai tempi del Covid. Con tutte le difficoltà che la positività al virus dell’uomo aggiunge a una fase già di per sé molto delicata. Con l’impossibilità di avere contatti stretti, con la difficoltà di capire chi possa concretamente aiutarti nella fase dell’assistenza. La cronaca, dettagliata, di giornate difficilissime, vissute sentendo il peso della solitudine. Fino a che, da ieri, una Unità speciale di continuità assistenziale – una Usca – ha preso in carico il paziente e le sue esigenze di cura e di assistenza. Mio marito sta morendo in una situazione vergognosa, in un Paese che si riempie la bocca di belle parole. Mio marito è un malato terminale che ha subito un intervento per un tumore alla vescica. Sedici giorni fa è stato dimesso dal reparto Morettini di Careggi, dove era stato ricoverato per complicazioni, col tampone positivo. Il bollettino Covid del 10 novembre Mi è stato detto di metterlo in una camera da solo e di entrarci solo per pochi minuti, naturalmente ben protetta, il tempo di portargli da mangiare. Peccato che, nel giro di due o tre giorni, era già allettato. Naturalmente ho cercato subito un aiuto, perché era impossibile seguirlo da sola in quelle condizioni e rispettando tutte le regole per non venire contagiata . Io ho 69 anni e mio marito 75 e, nonostante sia ridotto pelle e ossa, non si maneggia certo come fosse un bambino piccolo! Le organizzazioni di volontari non venivano, giustamente, ad aiutarmi, per il fatto che è positivo. Nemmeno quelle a pagamento, perché, in questo caso, è ...
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