Migranti spediti in Ruanda Carlo inorridito da Johnson

Migration

Spedire i migranti irregolari in Ruanda? No, grazie. A sostenerlo, secondo

il Times, sarebbe stato il principe Carlo in alcune conversazioni private durante le quali si sarebbe detto "più che deluso, inorridito" dal piano messo a punto dal governo di Boris Johnson (nella foto) che intende trasferire in Ruanda una parte di immigrati sbarcati illegalmente nel Regno Unito. Una specie di “parcheggio“ in attesa di stabilire se concedere loro lo status di rifugiati (con accesso all’isola) o meno. Parole pesantissime quelle dell’eterno erede al trono britannico che, se si presta fede ad alcune fonti anonime interne al palazzo, avrebbe definito "spaventoso" il meccanismo in questione, che nell’ottica dell’esecutivo è finalizzato a scoraggiare il traffico

dei clandestini attraverso la Manica nell’ambito di un promesso giro di vite post Brexit ai confini. E che però non sono state confermate dallo staff di Clarence House, sua residenza ufficiale, ma nemmeno smentite. "Il principe di Galles rimane politicamente neutrale", ha precisato un portavoce in una nota, aggiungendo di non voler "commentare conversazioni private e anonime" e che le opinioni del primogenito della sovrana non presuppongono alcun tentativo d’interferire nell’azione

di governo. Un modo per gettare acqua sul fuoco. Anche perché le parole del principe vanno a impattare su una delle scelte più contestate di un governo

e di un primo ministro già in difficoltà sull’onda dello scandalo Partygate.

In ogni caso, il cosiddetto Piano Ruanda sull’immigrazione dovrebbe diventare operativo a partire dal 14 giugno con un primo volo di alcune decine di richiedenti asilo, già preallertati, verso il Paese africano. Pochi giorni fa, tra l’altro, il governo ha ottenuto il via libera alle partenze da un giudice dell’Alta Corte di Londra, che ha negato la sospensiva invocata in un ricorso preventivo da varie ong col sostegno dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, pure fortemente critico nei confronti di Johnson. Ma la partita è tutt’altro che chiusa: lo stop, infatti, potrebbe arrivare in extremis in appello, e resta comunque pendente il giudizio di merito sulla legalità dell’accordo in sé.